TEMPIO FUNERARIO DI HATSHEPSUT [FOTO-STORIA]

Djeser Djeseru: il tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahri

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    Tempio funerario di Hatshepsut


    Il tempio funerario di Hatshepsut, noto anche come Djeser-Djeseru ("Santo fra i Santi"), è un tempio situato sotto le scogliere di Deir el-Bahari, sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re in Egitto. Il tempio funerario è dedicato alla divinità solare Amon-Ra, e si trova vicino al tempio di Mentuhotep II, entrambi serviti come fonte di ispirazione e, in seguito, come fonte di materiale edilizio. È considerato uno degli "incomparabili monumenti dell'antico Egitto". Il tempio fu il luogo in cui il 17 novembre 1997 avvenne il massacro di 62 persone, soprattutto turisti, per mano di fanatici estremisti islamici. Il cancelliere di Hatshepsut, architetto reale e forse amante Senemut supervisionò la costruzione e probabilmente progettò il tempio. Nonostante il vicino e più antico tempio di Mentuhotep sia stato utilizzato come modello, le due strutture sono diverse per parecchi aspetti.


    Nel tempio Hatshepsut vi era una terrazza colonnata che diverge dalla struttura centralizzata del tempio di Mentuhotep, un'anomalia che potrebbe essere stata causata dalla posizione decentrata della camera funeraria. Vi sono tre livelli di terrazze per un'altezza totale di 35 metri. Ogni livello è formato da una doppia fila di colonne quadrate, con l'eccezione dell'angolo nordoccidentale della terrazza centrale, che usa colonne protodoriche per ospitare la cappella. Queste terrazze sono colletgate tra loro tramite lunghe rampe un tempo circondate da giardini con piante esotiche, tra cui alberi di franchincenso e mirra. La struttura a livelli del tempio di Hatshepsut corrisponde alla classica forma tebana, che utilizza piloni, corti, ipostili, corti solari, cappelle e santuari. Le sculture a bassorilievo del tempio di Hatshepsut raccontano la storia della nascita divina di un faraone donna, il primo del suo genere. Testi ed immagini parlano di una spedizione nel paese di Punt, una zona esotica sulla costa del Mar Rosso. Anche se statue ed ornamenti sono stati rubati o distrutti, sappiamo che la struttura un tempo conteneva due statue di Osiride, un viale costellato di sfingi e molte altre sculture della regina in pose diverse: in piedi, seduta o in ginocchio. Molti di questi ritratti furono distrutti per ordine del figliastro Thutmose III dopo la sua morte. Il tempio di Hatshepsut è considerato il punto di maggior contatto tra architettura egizia e architettura classica. Ottimo esempio dell'architettura funeraria del Nuovo Regno, enfatizza il faraone e include santuari in onore degli dei importanti per la sua vita ultraterrena. Il tutto segna un punto di svolta nell'architettura egizia, che abbandona la geometria megalitica dell'Antico Regno per passare ad un edificio che permetta il culto. La linearità assiale del tempio di Hatshepsut si ritrova negli altri templi del Nuovo Regno. L'architettura del tempio originario è stata considerevolmente modificata a causa di un'erronea ricostruzione avvenuta all'inizio del ventesimo secolo. (Un'ampia e dettagliata fotogallery e tutti gli approfondimenti in spoiler).



    1. Hatshepsut, una donna come faraone

    Poiché Amenhotep I aveva perduto il figlio, salì al trono il discendente di un lato collaterale della dinastia: Thutmosi I, che ebbe due figli, Hatshepsut e Amenemes, il quale non giunse mai a regnare; la principessa Hatshepsut sposò un fratellastro, che il padre aveva avuto dalla concubina Muthefret, destinato a salire al trono con il nome di Thutmosi II. Il matrimonio fu allietato solamente da due figlie femmine, Neferura, che la madre diede probabilmente in sposa al figliastro, Thutmosi III, nato da Thutmosi II e dalla concubina Iside, e Meritra Hatshepsut (probabilmente seconda sposa di Thutmosi III). Thutmosi morì nel 1479 a.C., dopo soli quattordici anni di regno, lasciando un figlio troppo giovane per assumere il potere; la consorte regale e matrigna del giovane esercitò dunque la reggenza. Nell’anno 2 o 3, Hatshepsut abbandonò questa forma di potere e si fece incoronare re con una titolatura completa: maatkara (maat è il ka di Ra) khenemet-imen-hatshepsut (colei che Amon abbraccia, la prima delle dame venerabili); Thutmosi III divenne solo correggente. Per giustificare l’usurpazione, ella mise in disparte il marito, inventando una coreggenza con il padre Thutmosi I, da lei inclusa in una serie di testi e di raffigurazioni che decorano il suo tempio funerario, che vengono chiamati racconto della giovinezza di Hatshepsut: nella prima scena, Amon annuncia all’Enneade l’intenzione di dare all’Egitto un nuovo re. Thot gli parla con benevolenza della sposa di Thutmosi I, la regina Ahmes. Amon le fa visita e le annuncia che darà alla luce una figlia, concepita da lui, che dovrà chiamarsi “colei che Amon abbraccia, la prima delle dame venerabili”; Khnum, il dio vasaio, plasma, su richiesta del dio supremo, la bambina ed il suo ka sul tornio. Ahmes partorisce la figlia e la presenta ad Amon, che veglia sull’educazione della giovane principessa con l’aiuto di Thot e della nutrice divina, Hator. Seguono le scene dell’incoronazione: dopo essere stata purificata, Hatshepsut è presentata da Amon agli dei dell’Enneade. In loro compagnia, ella si reca nel nord del Paese, poi è posta sul trono da Atum e riceve le corone e la titolatura; proclamata re dagli dei, Hatshepsut deve ancora essere intronizzata dagli uomini. Perciò, il suo padre terrestre, Thutmosi I, la presenta alla corte riunita, la designa come suo erede e la fa acclamare re. Dopo che la titolatura del nuovo sovrano è stata stabilita, ella viene nuovamente purificata. La sovrana associò al proprio culto funerario quello del padre, consacrandogli una cappella nel tempio di Deir El-Bahri. Hatshepsut regnò fino al 1458, ossia fino all’anno 22 di Thutmosi III, che solo allora divenne sovrano a pieno titolo; per governare, la sovrana si servì di collaboratori dalla notevole personalità: al primo posto troviamo Senenmut. Egli compì, sotto Hatshepsut, una delle più brillanti carriere che l’Egitto antico ricordi. Fu il portavoce della regina e il maggiordomo della famiglia reale e di Amon; sotto la sua responsabilità venivano posti tutti i lavori effettuati nel tempio del dio. S’incaricò di sovrintendere al trasporto ed all’erezione degli obelischi che la regina installò nel tempio di Amon-Ra a Karnak, nonché alla costruzione del tempio funerario di Deir El-Bahri, di fronte al quale si fece scavare una seconda tomba, oltre a quella che già possedeva. Le malelingue insinuavano che Senenmut dovesse i favori di cui doveva ad una relazione intima con la sovrana; in realtà, sembra che la sua grande influenza provenisse dal ruolo che egli ricopriva nell’educazione della primogenita di Hatshepsut, Neferura, di cui era anche precettore e maggiordomo. Numerose statue ritraggono insieme la principessa e Senenmut, uomo di grande cultura, come dimostrano sia le opere da lui ideate come architetto, sia la presenza, nella sua tomba di Deir El-Bahri, di una volta decorata con motivi astronomici e, nella sua tomba di Gurna, di circa 150 ostraka, che comprendono vari esemplari disegnati, in particolare due piante della tomba stessa, liste, calcoli, annotazioni diverse e copie di testi religiosi, funerari e letterari: la satira dei mestieri, il racconto di Sinuhe, gli insegnamenti di Amenemhat I ed altri. Senenmut è onnipresente per i primi tre quarti del regno, poi cadde in disgrazie, senza che se ne sappia il motivo. Tra i più fidi cortigiani di Hatshepsut va annoverato anche il gran sacerdote di Amon, Hapuseneb, imparentato con la famiglia reale. Egli fece eseguire materialmente la costruzione del tempio di Deir El-Bahri e poi fu nominato gran sacerdote; si deve poi ricordare il cancelliere Nehesy, comandante della spedizione inviata dalla sovrana, nell’anno 9, nel paese di Punt: questa celebre impresa, narrata distesamente sulle pareti del tempio funerario, fu il punto cruciale di una politica estera che sembra si sia limitata allo sfruttamento delle miniere dello Wadi Maghara, nel Sinai, e ad una spedizione militare in Nubia. Durante il regno di Hatshepsut, nessuna azione militare era stata fatta per consolidare le posizioni acquisite da Thutmosi I nel corso delle sue spedizioni preventive nel Retenu e in Naharina.

    2. Come Hatshepsut divenne faraone

    Per una ventina d’anni, Hatshepsut esercitò il potere come un buon re, lasciando in ombra l’erede legittimo, Thutmosi III; questi, una volta assunto il potere, pare abbia condannato la zia ad una vera damnatio memoriae: i cartigli di Hatshepsut vennero scalpellati, i suoi ritratti cancellati o sfregiati, i monumenti che aveva fatto costruire trasformati o abbattuti per riutilizzarne le pietre. Fu in questo modo che il ricordo della regina scomparve dalla storia, tanto che a lungo nessuno fece caso al fatto che la sovrana si faceva rappresentare come un uomo, con la barba posticcia e il gonnellino. Solo durante il XIX° secolo, la sua storia venne gradualmente riscoperta. Hatshepsut, con l’approvazione del clero tebano, fu incoronata re dell’Alto e del Basso Egitto e per sette anni tutto trascorse normalmente: gli atti ufficiali del regno venivano redatti regolarmente, a nome di Thutmosi III e il calendario in vigore si riferiva all’ascesa al trono del giovane faraone; Hatshepsut era indicata solamente con l’antico titolo di grande sposa reale. A partire dal settimo anno di regno, però, Hatshepsut inizia ad apparire al fianco del giovane re, rivestita dei titoli e delle insegne del faraone; inoltre, il suo nome precedeva addirittura quello di Thutmosi III, che a tutti gli effetti era l’erede legale di Thutmosi II. In conformità alla titolatura faraonica, la sovrana possedeva cinque nomi. Data la sua grande intelligenza, Hatshepsut avrebbe potuto continuare a regnare all’ombra di Thutmosi III, tuttavia, la regina si appropriò delle prerogative reali ed iniziò ad apparire in pubblico con gli attributi maschili e le insegne del potere. Alcuni testi dell’epoca riportano notizie secondo le quale l’Egitto, in quel periodo, aveva conosciuto gravi turbamenti di natura sconosciuta e che la regina vi aveva messo fine, assumendo il titolo di faraone. Il regno congiunto di Hatshepsut e Thutmosi III segnò la nascita di una nuova età dell’oro per l’Egitto; l’attività politica svolta dalla sovrana fu immensa: organizzò una spedizione pacifica verso l’esotico Punt, incrementò la ricerca di nuovi giacimenti minerari e si occupò di abbellire l’Egitto, lungo la Valle del Nilo. Infine, modificò la disposizione del cuore del santuario di Karnak e fece costruire, nello spettacolare anfiteatro roccioso di Deir El-Bahri, il suo tempio funerario a terrazze, accanto alla sepoltura di Monthuotep II. Quando Thutmosi III salì finalmente al trono, non rinnegò completamente l’operato della zia, ma legittimò ogni sua azione politica con gli oracoli di Amon, esattamente come aveva fatto la stessa Hatshepsut; tuttavia, per ragioni sconosciute, ad un certo punto del regno di Thutmosi III, si cercò di cancellare ogni memoria della regina. Per la sua cerimonia d’incoronazione, Hatshepsut partì dal suo palazzo, situato sulla riva destra del Nilo e costruito da suo padre Thutmosi I, per recarsi al luogo dell’incoronazione, nella sacra cinta di Karnak; la folla che seguiva il corteo doveva essere numerosa.

    3. La regina costruttrice

    Come era stato per i suoi predecessori, la città che figurava a lettere d’oro sulla lista di Hatshepsut era, ovviamente, Karnak, il complesso religioso più importante e potente dell’Egitto di quel tempo; è curioso, dunque, il fatto che la sovrana abbia deciso di far erigere la cappella-repositorio, destinata a proteggere la barca sacra di Amon, solo nel diciassettesimo anno di regno, cioè verso la fine della sua vita. Per costruire questo monumento, gli architetti reali non utilizzarono la comune arenaria o il calcare, bensì scelsero, su preciso ordine della regina, un materiale di grande nobiltà, una superba quarzite di color rosso, proveniente dal Gebel Ahmar (la montagna rossa), a est di Eliopoli: da qui il nome di Cappella Rossa attribuito all’edificio. È interessante notare come, contrariamente a quanto avveniva negli altri monumenti dell’epoca, ogni blocco che compone la Cappella Rossa sia stato tagliato e scolpito a bassorilievo in laboratorio, prima dell’effettiva erezione dell’edificio. Le sculture che compongono i bassorilievi rappresentano scene rituali, nelle quali Hatshepsut occupa il primo posto: l’incoronazione, l’intronizzazione, scene di offerte e di adorazione, riti e processioni festivi; in seguito, alcuni di questi blocchi vennero scalpellati. Sull’asse nord-sud del complesso di Karnak, la sovrana fece anche erigere l’ottavo pilone, tagliato nell’arenaria. Nel quindicesimo anno di regno, Hatshepsut decise di rendere omaggio a suo padre divino Amon: decise di far erigere una coppia di obelischi tra il quarto e il quinto pilone di Karnak. Per l’occasione, organizzò una spedizione ad Assuan, dove si trovavano le più grandi cave di granito dell’Egitto. Erano già quindici anni che Hatshepsut era sul trono. La celebre spedizione nella terra di Punt, nel nono anno di regno, le aveva procurato molti onori e, soprattutto, le aveva permesso di riempire le casse dello stato; questo quindicesimo anno, però, era diverso dagli altri, perché corrispondeva al suo primo giubileo. Dietro saggio consiglio di Senenmut, decise di solennizzare questa festa, offrendo ad Amon i due obelischi. Il racconto dell’impresa è inciso alla base dell’obelisco oggi ancora in loco, che misura 28,48 metri d’altezza. Purtroppo, l’ardore della sovrana, che voleva forgiarli interamente in elettro, venne presto temperato: l’elettro e l’oro immagazzinati nelle sale del tesoro di Amon non erano sufficienti per una tale impresa. Hatshepsut ordinò allora di far tagliare i due obelischi nel granito rosa, gioiello delle cave di Assuan; solo i pyramidion sarebbero stati ricoperti di elettro. Per quanto riguarda la spedizione ad Assuan, si trattò di un lavoro di lungo respiro: centinaia di operai e di tagliatori foggiarono, sul posto, i due obelischi in un tempo record (sette mesi), per compiacere la regina. I blocchi, una volta tagliati, vennero piazzati su slitte di legno e alati fino al Nilo; il convoglio non passò certo inosservato e, sugli argini, migliaia di egiziani si accalcarono per rendere omaggio, a modo loro, alla regina faraone e ad Amon. Una volta giunti all’imbarcadero tebano, i due monoliti vennero scaricati e avviati verso la loro destinazione, in presenza di alti dignitari e sacerdoti che presentavano offerte agli dei. Contrariamente alla tradizione, che voleva gli obelischi collocati davanti ai piloni, Hatshepsut decise di erigerli all’interno della grande sala ipostila costruita da suo padre Thutmosi I. Gli obelischi vennero poi affidati agli scultori e, infine, agli orafi, che ne placcarono di elettro la sommità. Vennero drizzati e il lungo lavoro si concluse con successo. Al di fuori di Tebe, nel sesto anno di regno, Hatshepsut fece erigere, a Elefantina, una cappella in arenaria e due obelischi, dedicati alla triade locale (Knhum-Anuqet-Satet). Ad Ermopoli, feudo del dio Thot, nel decimo anno di regno fece costruire un tempio in calcare bianco, in onore della divinità, ristabilendone il culto, che era stato abbandonato. Il lavoro fu colossale: Senenmut e i suoi architetti si prodigarono, dando fondo a tutte le loro energie, lungo la valle del Nilo, per cancellare le tracce del degrado, lasciate specialmente dagli invasori hyksos. Nel suo desiderio di farsi amare dal popolo e rispettare dai sacerdoti, Hatshepsut non si dimenticò la Nubia. Sul sito di Bunen, oggi inghiottito dalle acque della diga di Assuan, fece erigere un tempio in calcare e arenaria, circondato da una cinta di mattoni, che comprendeva un’ampia sala ipostila, il cui soffitto era sostenuto da tre file di sei colonne; la sala dava accesso ad un santuario diviso in cinque camere e affiancato, da ogni lato, da un portico composto di colonne scanalate. Più a nord, a Qsr Ibrim, fece costruire, sulla riva orientale del Nilo, una cappella rupestre che dedicò a Horus e Satet, così come un obelisco tagliato nel granito.

    4. La politica estera ed interna di Hatshepsut

    Approfittando del momento di pace in cui versava l’Egitto, Hatshepsut impostò una politica estera che tendeva a privilegiare i rapporti commerciali. Le poche spedizioni militari di quest’epoca saranno invece appannaggio del suo successore, Thutmosi III, il “faraone guerriero”. Hatshepsut non era una regina guerriera e pochi furono gli ufficiali militari di alto grado tra i suoi consiglieri più vicini; pare che, all’inizio del suo regno, si sia reso necessario un solo intervento militare in Nubia. Le altre spedizioni militari, condotte verso la fine del suo regno, furono da attribuire all’iniziativa di suo nipote. Anche in politica interna, Hatshepsut usò la lungimiranza: donna intelligente e astuta, sapeva bene di dover preservare ad ogni costo la pace quanto il patrimonio lasciatole in eredità dal padre: grazie anche alla saggezza e all’amicizia di Senenmut, le casse dello Stato erano colme. Ben presto, la sovrana inviò spedizioni commerciali nei Paesi vicini, tra cui Punt, che da allora divenne meta di spedizioni regolari (benché altre spedizioni erano state fatte in passato); Hatshepsut intrattenne inoltre vantaggiosi rapporti commerciali con alcune isole del Mediterraneo, tra cui Cipro, Creata e Byblo.

    5. La misteriosa scomparsa

    Bisogna attendere l’anno 22 di Thutmosi per trovare le ultime menzioni pubbliche di Hatshepsut; il mistero circonda la regina e la sua morte, passata inspiegabilmente sotto silenzio. La situazione è ancora più irreale, se si considera la vasta e straordinaria opera realizzata da questa donna eccezionale. Forse vi è un solo testo, piuttosto deteriorato, che può aiutare nella ricerca della verità: inciso su una stele proveniente da Erment, ha conservato solo la parte iniziale. Il testo narra le tappe principali del regno di Thutmosi III e i primi editori hanno pensato che la data “il decimo giorno del secondo mese di Peret, anno XXII” corrispondesse al momento in cui Thutmosi iniziò a regnare da solo. Si potrebbe quindi dedurre che la sovrana fosse morta il giorno nove del secondo mese di Peret, anno XXII di Thutmosi III. Tuttavia, le prove sono scarse e quel silenzio potrebbe anche corrispondere ad un discreto ritiro dal potere della regina. Grazie allo storico egizio Manetone, vissuto sotto Tolemeo II Filadelfo, sappiamo che, nella memoria dei templi, il “regno” di Hatshepsut era stato fatto iniziare al momento in cui l’oracolo di Amon l’aveva designata al trono, cioè proprio quello che pretendeva la stessa Hatshepsut! Allora, perché le liste regali (redatte sotto i ramessidi) non la menzionano? Perché tanto accanimento contro di lei? Il problema principale è che non sappiamo se sia effettivamente morta o solo scomparsa. Dopo la morte della sovrana, non fu necessaria una cerimonia d’investitura per il nuovo faraone, dato che Hatshepsut non fu mai investita completamente delle prerogative reali e quindi l’ascesa al trono del nipote fu, di fatto, una prosecuzione del suo regno.

    6. La creazione della “Valle dei Re”

    Hatshepsut, organizzatrice per natura, voleva realizzare tutti i progetti maturati nella sua mente, ma prima di tutto era necessario affermare il suo ruolo di sovrana sulla terra di kemet, predisponendo attorno alla sua futura sepoltura le tombe dei sovrani che le sarebbero succeduti sul trono d’Egitto. Questo significava abbandonare la tradizione di disperdere le sepolture reali, ricreando una vasta necropoli. Bisognava innanzitutto scegliere il luogo adatto: anche Hatshepsut, nonostante tutto, rimase fedele alla forma essenziale e sacra della piramide, ma in quella regione montuosa da lei scelta poteva servirsi di una fantastica proposta, probabilmente suggerita dal Gran Sacerdote Hapuseneb e dal Gran Maggiordomo Senenmut; sulla riva occidentale del Nilo, di fronte a Tebe, il punto culminante del massiccio montuoso presentava una forma piramidale naturale, la “santa cima” (Ta dehenet), venerata perché abitata dalla Grande Dea (Hator). Questo fenomeno naturale sarebbe diventato la parte visibile del comune monumento funebre, nei cui fianchi Hatshepsut avrebbe fatto costruire la prima sepoltura della necropoli. Sotto la cima sacra, nelle viscere della montagna sede di Hator, Hatshepsut sapeva che i sovrani defunti, preservati grazie alla mummificazione, avrebbero ripreso vita nel seno stesso della dea; quel grembo universale simboleggiava l’oceano primordiale da cui tutto era nato. Questa raffigurazione sarebbe diventata comune nell’arte funeraria: la vacca Hator che sorge dalla montagna tebana, circondata da un cespuglio di papiro. Ed era quindi ovvia l’erezione della statua di Hator posta in una nicchia ai piedi di Deir El-Bahri, dove Thutmosi III farò poi rappresentare il figlio Amenhotep II inginocchiato sotto l’animale, intento a nutrirsi a una mammella della vacca che esce da una macchia di papiro. Gli operai della corporazione regia di Deir el-Medineh finirono così per chiamare quel luogo così venerabile e sacro “la grande prateria” (di papiro). Lo stesso luogo che si chiamerà “Valle dei Re” dopo Champollion.

    7. Il tempio a terrazze della Grande Sposa Reale

    Per la sua vita dopo la morte, Hatshepsut aveva concepito un percorso attraverso le viscere della dea, che doveva concludersi nella grande sala del sarcofago. Da quel momento, la regina sarebbe apparsa accanto agli altri sovrani defunti, sottoforma di un bovino su una navicella, intento a superare la palude della sopravvivenza circondata di papiro. Dopo i calcoli astronomici per l’orientamento, Hatshepsut fece preparare piccoli pozzi destinati a riceverei primi “depositi di fondazione”. Fu certamente una delle prime emozioni di Champollion nella Valle dei Re, scoprire quei depositi intatti e decifrare il prenome della regina: maatkara. Il contenuto era un campionario di tutto quello che era servito per la sepoltura. Ogni complesso funerario, poi, doveva forzatamente essere completato da una cappella per il culto celebrato dai viventi per il defunto. Il Djeser Djeseru, la “meraviglia delle meraviglie”, avrebbe dovuto superare in armonia, equilibrio e divine proporzioni le altre opere architettoniche. La sovrana affidò i lavori a Senenmut, dandogli carta bianca per coordinare i lavori del suo tempio giubilare; così, l’anfiteatro roccioso ai piedi del quale Monthuotep II (il Grande) aveva fatto erigere il suo complesso funerario stava per essere alterato nella parte nord dall’edificazione su tre livelli di terrazze orizzontali sovrapposte, formate da portici a pilastri e da colonne. Due rampe d’accesso avrebbero tagliato al centro ognuna delle terrazze, approntata nell’asse della figura abbozzata naturalmente con l’aspetto della familiare statua-cubo. I primi due portici, tagliasti entrambi al centro da una rampa d’accesso, dovevano presentare facciate armoniose costituite da pilastri e colonne, con serie ascendenti dietro le quali le mura dovevano eternare, grazie alla valenza magica delle decorazioni, i momenti più importanti del regno, cari alla sovrana, il tutto per proiettare Hatshepsut e il suo operato nell’immortalità.

    8. Le decorazioni

    I temi trattati nelle decorazioni sarebbero stati tre: il più importante era quello dell’affermazione dei diritti al trono, con la sequela delle immagini riguardo la misteriosa teogamia. Queste scene dovevano ornare la parte nord del secondo portico, accanto alla nascita e alla giovinezza della regina; seguiva poi il tema della sovrana costruttrice, fedele agli antenati e al culto divino, con le immagini del trasporto e dell’erezione dei due colossali obelischi, sulla parte sud del primo portico, in sintonia con la posizione geografica delle cave di granito rosa di Assuan. Successivamente doveva essere rappresentata la fantastica spedizione del paese di Punt, nella parte sud del secondo portico. Infine, la zona nord del primo portico, sarebbe stata riservata alla rappresentazione della palude e della trasformazione prima della rinascita, come si conveniva a ogni cappella funeraria. Hatshepsut non desiderava che lo spazio per le feste sed, i giubilei ultraterreni infiniti, fosse adombrato da scene che alludevano a battaglie, poiché la sovrana avrebbe fatto allusione a ciò in seguito, esponendolo in un altro dominio di Hator: la grotta preparata per Pakhet, una forma della dea ricordata come leonessa dagli artigli acuminati. Per ricordare le battaglie superate, si fece rappresentare come sfinge che calpesta dei nemici nel panico più totale, con un’immagine che coniuga eleganza e malizia.

    9. Il tempio giubilare

    Hatshepsut desiderava che la nuova concezione dell’immagine osirica tradotta nel suo complesso giubilare fosse accompagnata da commentari non troppo impenetrabili. Coloro che sarebbero andati ad ammirare la sua immagine avvolta nel sudario osirico sapevano che il dio morto, divenuto mummia, doveva risorgere, dato che il Djeser Djeseru aveva la funzione di assicurare l’eterno rinnovarsi del sovrano defunto. Per rendere comprensibile tutto ciò, bisognava seguire delle tappe piuttosto semplici: nella prima, il dio Osiride veniva rappresentato (a partire dal Medio Regno) sul suo trono e con le tradizionali insegne in mano, la sferza (nekhakha) e l’uncino (nekha); i due scettri evocavano i simboli di Osiride, antenato di tutti i re d’Egitto. Per la fase finale del viaggio era necessario utilizzare scene comprensibili a tutti, per seguirne correttamente il progredire: queste immagini erano il segno della vita, ankh, accompagnato dallo scettro a testa di cane, uas, i due simboli solari per eccellenza e tenuti in mano dagli dei, i quali evocavano il soffio della vita, l’azione solare. Hatshepsut, quindi, aveva voluto farsi rappresentare in questo modo per richiamare la sua nascita giubilare, in contrasto con ciò che insegnava il dogma osirico. Due entità in una: la forza in letargo (il sole tramontato) e l’energia liberata (l’astro al suo risveglio); il simbolo era rafforzato dal duplice significato che assumevano ankh e uas, per un rebus amato dagli egizi, ovvero “latte”, questa fonte di vita, il primo alimento dei neonati, necessario per i primordi dell’esistenza.

    10. Il Sancta Sanctorum

    La porta di granito rosa chiamata Amon dagli splendidi monumenti dava l’accesso alla parte più sacra e nascosta del tempio, lontano da occhi umani. La vasta terrazza superiore rettangolare era circondata da basamenti, ai quattro lati, destinati ad accogliere un doppio ordine di colonne, mentre il viale centrale doveva ospitare otto statue colossali della regina genuflesse, intente ad offrire i vasi globulari di vino. In fondo, a ovest, i locali del Sancta Sanctorum erano scavati nella montagna, seguendo l’asse del tempio; ai lati dell’asse, i cavatori avevano ricavato le nicchie del culto (cinque grandi e quattro piccole), destinate ad accogliere dieci statue osiriche di tre metri e otto assise della regina, più piccole. Una porta in legno dei Paesi del sud chiudeva le preziose cappelle. Persino i colori obbedivano a una simbolistica precisa: le statue osiriche del portico della terrazza avrebbero avuto il volto dipinto di rosso delle statue virili; le teste delle effigi osiriche nelle nicchie sul fondo sarebbero state dipinte di giallo-arancio, colori che evocavano la transizione; infine, altre quattro statue osiriche erano state destinate ad inquadrare lo zoccolo per la barca sacra di Amon, la Utes Neferu, quando avvenivano le feste. Il volto delle statue di Hatshepsut sarebbero state color giallo pallido e con un lieve sorriso, naturalmente ornato dalla rituale barba ricurva, blu come le sopracciglia. Dal momento che era a suo padre divino Amon che Hatshepsut aveva dedicato quel luogo sacro, la parte centrale doveva accogliere l’arca sacra del dio; sotto un soffitto a volta, l’arca veniva deposta in occasione della grande festa, sul supporto detto Lago D’oro. Testi e incisioni avevano il compito di precisare che la “Utes Neferu” colei che innalza la forza incarnata (divina) doveva essere circondata, ai quattro angoli, da quattro bacili pieni di latte e da quattro torce: Maatkara accenderà la fiaccola a suo padre Amon come offerta quotidiana per vivere per sempre. Sulle pareti erano scolpiti i rilievi in cui Amon riceveva gli omaggi e la famiglia reale rendeva il culto alla barca sacra. Nella parte settentrionale, Hatshepsut e Thutmosi III, genuflessi e accompagnati da Neferura in piedi, vestita da giovane donna, facevano offerte alla barca sacra e l’atto veniva rinnovato da immagini di Thutmosi I e la regina Ahmes con la piccola Neferubity, tutti defunti. Su muro meridionale, i sovrani regnanti con la principessa Neferura (bambina e nuda) portavano il vino alla barca sacra.

    11. La Bella Festa della Valle

    Una moltitudine di feste erano celebrate annualmente e spesso comprendevano una parata nautica, in particolare quando le processioni passavano dalla riva destra a quella sinistra del Nilo. La più celebre delle feste religiose, sulla riva sinistra, iniziava con la luna nuova del secondo mese della stagione di Shemu (l’estate), ed era la Bella Festa della Valle (o del Principe), che durava undici giorni e veniva celebrata a Tebe, a partire dal regno di Monthuotep II; l’apice era costituito dal viaggio del simulacro di Amon, che usciva da Karnak in pompa magna per recarsi in visita ai gloriosi defunti della riva sinistra. Tutto il popolo prendeva parte al rito. Durante le ore notturne, le necropoli erano illuminate e nei villaggi brillavano piccole lampade davanti agli usci delle abitazioni. La barca di Amon veniva trasportata su percorsi cosparsi di fiori. Durante questa festa di cantava, si ballava, si rendeva onore ad Amon e alla permanenza della regalità. Hatshepsut voleva che il fasto di quegli eventi fosse ricordato anche nel cuore del suo tempio. La sala a cielo aperto e l’altare solare. Per Hatshepsut avevano grande importanza anche i luoghi dove celebrare segretamente (all’insaputa dell’alto clero) le cerimonie giubilari, quindi si premurò di interrogare il fedele Senenmut in proposito; per obbedire alla tradizione, era stato previsto di costruire, a sud, tre stanze a formare gli appartamenti giubilari della sovrana. La parte sud-ovest era stata dunque consacrata alla regina e agli antenati della famiglia, quella nord-est era stata invece dedicata all’inizio del periplo per la rinascita e il ritorno alla vita. A nord era stato anche previsto un vasto spazio a cielo aperto, al centro del quale stava un grande altare a cornice per celebrare i riti dedicati al rinnovamento eterno della regalità. A est del cortile solare, un piccolo vestibolo a tre colonne era stato riservato alla memoria eterna di Thutmosi II; sulla parete doveva comparire l’effige di Thutmosi II, introdotto da Amon e Ra-Harakhty. Vi era anche una nicchia, nell’angolo nord-est, destinata ad ospitare una immagine di Hatshepsut, radiosa nella giovinezza solare. La sistemazione del tempio, quindi, era conforme ai desideri e alle aspettative della sovrana, la quale si augurava che quel canonico orientamento degli ambienti giubilari (migliorati dall’epoca delle piramidi) venisse applicato a tutte le dimore divine.

    12. La simbologia del Djeser Djeseru

    L’architetto Senenmut si era in parte ispirato al vicino tempio di Monthuotep II, eretto nel Medio Regno (XI dinastia), però, il “tempio di milioni di anni” possedeva più terrazze, portici differenti e si estendeva nell’anfiteatro roccioso. Fin dall’inizio dei lavori, Hatshepsut aveva precisato la sua volontà di edificare il monumento (menu) nel puro calcare tebano per la gloria di Amon e del suo padre terreno, oltre che per i suoi giubilei infiniti; gli elementi architettonici dovevano essere in granito e arenaria e molte statue avrebbero popolato i luoghi di culto. Le linee di facciate e portici dovevano essere di una purezza unica, così come gli elementi ornamentali non sarebbero stati aggressivi: i rilievi sotto i portici dovevano sembrare cesellati nella pietra e colorati in modo molto vivace, per risaltare nella penombra. Molto importante era tradurre nella pietra le scene della teogamia, il commentario mistico (sdrammatizzato) di certi fenomeni religiosi, lo svolgersi delle più importanti celebrazioni annuali; infine, era necessario eternare eventi di rilievo del regno (erezione degli obelischi, spedizione a Punt). Prima corte: le due vaste corti a rampe con i portici, dominate dalle costruzioni per i santuari, erano in parte scavati nella montagna. Davanti ala porta d’ingresso, circondata da un muro di tre assise in calcare dalla cima arrotondata, erano state piantate due persee (mimusops shimperi). Entrando nella prima corte, profonda circa cento metri, potevano essere subito notati gli alberi da frutto, le palme e la vigna piantati, nonché le mimose; un secondo viale con sette paia di sfingi monumentali con il capo coperto dal khat, in arenaria dipinta, occupava il centro della corte per quasi cinquanta metri e conduceva a una rampa in calcare posta esattamente nell’asse delle costruzioni superiori del tempio e dei due alberi d’ingresso. La rampa lunga cinquanta metri saliva dolcemente e conduceva a un doppio portico; la sua base era affiancata da due bacini a forma di T, contornati da fiori, che rievocavano il porto d’arrivo per ogni viaggiatore fluviale, sia nel mondo terreno che nell’aldilà (Hatshepsut li aveva voluti per simboleggiare l’arrivo nel mondo per le feste sed infinite). Il guardiano di quei luoghi era evocato dalla splendida immagine del leone reale scolpito alla base dei due lati della rampa: la statua, nobilmente eretta sulle zampe anteriori e posizionata su uno zoccolo, aveva la coda alzata a formare una curva sinuosa a protezione del nome della sovrana. Un piccolo muro di circa un cubito e mezzo circondava la rampa, larga dieci metri, e al centro del suo piano inclinato erano stati intagliati dei gradini. Prima terrazza: superata la rampa si giungeva ai primi due portici che delimitavano la terrazza, la cui lunghezza era di venticinque metri. La facciata non perdeva nulla in leggerezza e la luce giocava tra il duplice ordine di supporti, dando un aspetto sobrio ed elegante, ma senza capitelli floreali. La varietà dei supporti su due ordini dava una grande vivacità: nel primo ordine, la parte est era costituita da undici pilastri quadrati, quella ovest da colonne “protodoriche” semicircolari, tagliate a otto facce. Il secondo ordine, composto da undici colonne a dodici facce, aumentava l’impressione e la distanza era sufficiente per contemplare le decorazioni del muro di fondo occidentale, tracciate in rosso e a sette metri d’altezza. Una cornice copriva la sommità del duplice portico, dominando l’architrave; vi erano inoltre, naturalmente, i doccioni a testa leonina per incanalare la rara acqua piovana torrenziale. Portico degli obelischi: sul portico del primo livello vi erano le immagini del trasporto degli obelischi dalle miniere di Sehel, vicino ad Assuan, con la partenza delle navi. Portico della difesa magica: i disegni sul muro di fondo del portico settentrionale (in corrispondenza della zona mistica delle paludi) evocavano alcune scene cultuali: la raschiatura del terreno dei quattro vitelli multicolori rituali (per occultare il sepolcro di Osiride), la venerazione per Amon, la processione delle cinque statue della regina e l’immagine vittoriosa e monumentale di Hatshepsut in forma di sfinge, intenta a schiacciare i nove potenziali nemici del regno; la scena è molto maestosa, con l’imperiosa calma della leonessa dal volto umano, in azione, resa più imponente dal grande diadema di Montu (maestro d’armi). La protezione del santuario veniva assicurata da scene quotidiane di caccia o pesca nelle paludi. Ai due angoli esterni (nord e sud) del duplice portico troneggiavano due colossali statue osiriche. Terrazza intermedia: la seconda corte a terrazzo era meno profonda della precedente (90×100 c.a.) e qui dominava una sobrietà generale; dall’area di fondo sorgevano due doppi porticati sovrapposti con alternanza di colonne e pilastri. La spianata era priva di vegetazione, vuota tranne che per degli immensi zoccoli attorno al passaggio centrale, i quali ospitavano tre paia di sfingi in granito rosa con la barba reale. Partendo dal centro della corte, sempre nell’asse perfetto del tempio, era stata costruita una rampa per condurre al doppio piano della terza terrazza; sul lato della rampa era stato scolpito il corpo sinuoso di un gigantesco e maestoso cobra eretto, mentre in cima era stato collocato un falco solare a tutto tondo. All’imbocco della terrazza intermedia, facevano da guardiane due sfingi con la criniera. Tutti e due i portici della terrazza superiore avevano un duplice ordine di pilastri quadrati, ornati da rilievi. A oriente, visibile dall’esterno, c’erano effigi di Maatkara in piedi, vestita da faraone, mentre ai lati sud e nord dei pilastri vi era uno spazio riservato a Thutmosi III; all’estremità settentrionale e meridionale dei portici stavano un paio di statue osiriche monumentali di Hatshepsut. I due portici sovrapposti: le due terrazze sovrapposte presentavano quattro portici a colonne e pilastri; i portici del primo piano erano formati da due serie di undici supporti disposti come per i portici della prima terrazza, fatti di pilastri-colonne nel primo ordine e di colonne fascicolate nel secondo. Contro i pilastri del primo rango erano state erette grandiose statue osiriche della regina che reggeva in mano due scettri, alte cinque metri e cinquanta. Dietro i due portici superiori (davanti a quali era stato ricavato un passaggio) era stato alzato uno spesso muro; il passaggio, al centro, era ornato dalla magnifica porta monumentale di granito rosa con i nomi dei due sovrani: protocollo di Hatshepsut a sud e di Thutmosi a nord. La porta era policroma. Lo speso muro di fondo della seconda terrazza nascondeva alla vista il santuario vero e proprio; la facciata orientale (esterna) del muro recava grandi rilievi, mentre sulla porta meridionale si trovava il baldacchino reale, posizionato su una base ornata dai segni ankh, uas e ged, simboli del completo rinnovamento ciclico. A nord (zona per tradizione riservata alla nascita, alla gioventù, ecc) era stata posta una immagine di Thutmosi in costume con l’immagine di Horus con le due ali blu e verdi incrociate sul petto; con la canna in mano, nell’aureola della sua fanciullezza reale, il re avanza verso il dio e dietro, di fronte alla valle, si trovava inciso il testo dell’incoronazione di Hatshepsut. Portico della teogamia: le decorazioni previste per il muro di fondo del secondo portico nord ricordavano la miracolosa nascita e le fonti divine che confermavano la pretesa del trono da parte della regina. Il tutto si concludeva con Hatshepsut accompagnata dal padre e da lui presentata quale erede, dopo il suo riconoscimento da parte di tutto l’Egitto. Portico di Punt: il portico meridionale riportava, con immagini e descrizioni, la spedizione nell’anno IX del regno nel paese di Punt, narrata con fedeltà, ma anche con toni umoristici e poetici.

    Fonte







































    Edited by Lottovolante - 28/11/2014, 22:50
     
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