SOCOTRA: nello Yemen il paradiso della botanica [FOTO]

Socotra...colori e profumi preistorici...

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    SOCOTRA
    colori e profumi preistorici



    L’arcipelago dell’Oceano Indiano, paradiso della botanica. Prima di guardare sott’acqua.





    Lasciata Mukalla, il suo mercato degli squali stesi come panni bianchi ad essiccare al sole che picchia forte sul Golfo di Aden, le case-torri merlettate, il lungomare dove i fidanzati celano le loro effusioni, pur sempre caste, dietro separé in seta rosa portatili, ci si imbarca sul volo per Socotra tra decine di donne dagli occhi scuri e penetranti. Ti fissano dalla fessura del loro burqa per tutta la durata del viaggio verso il misterioso arcipelago soprannominato le Galapagos dell’Oceano Indiano. Poi queste silenziose creature femminili spariranno e quasi non le rivedrete più, «inghiottite» dentro le casette a forma di cubo in granito rosso intente a preparare il ghi, il burro, a coltivare l’aloe o a raccogliere i datteri.


    Quest’isola che appartiene allo Yemen, incastonata tra la Penisola Arabica e il Corno d’Africa, rappresenta un mondo a parte, fatto di uomini, in prevalenza pescatori e pastori, tutti con un perenne bolo nelle guance che rende difficile comprenderne le parole: è la palla di foglie di qat, un alcaloide stimolante, che masticano in continuazione. Hanno occhi verdissimi e neri, capelli crespi arruffati, ereditati dai pirati indiani, arabi e portoghesi dai quali discendono. Sino a pochi anni fa, quando gli unici ad arrivare qui, sulle navi che potevano attraccare soltanto nei sei mesi all’anno in cui i monsoni davano un po’ di tregua, erano i biologi e gli zoologi, i maschi di Socotra si spiegavano a gesti. Adesso ti portano a dormire nei funduk divenuti piccoli hotel come il Taj el’ Al-Moheet, però muoversi in Land Rover e campeggiare nelle foreste, nei wadi, in riva al mare attendendo l’arrivo, puntuale, delle tartarughe che nidificano sulla sabbia trasparente di Qadama, sotto un cielo così pieno di stelle da coprire con il loro scintillante lucore il blu della notte, rimane la chiave per capire l’isola dei Dioscuri come era chiamata da greci e romani. Stipata la jeep di pesce in scatola, comincia l’avventuroso on the road su strade di terra e sentieri arzigogolati verso l’altopiano di Dixam dove ti sembra di essere circondato da dischi volanti con le foglie acuminate: sono le migliaia e migliaia di giganteschi esemplari di dracaena cinnabari a forma di ombrello con gli aculei soprannominati sangue del diavolo. I ragazzi di Socotra estraggono un temperino e incidono il tronco per mostrare che davvero scorga quella sostanza liquida rossa dalle miracolose proprietà taumaturgiche che, scrive Plinio il Vecchio, i gladiatori romani si cospargevano sulle ferite procuratisi nei combattimenti con le fiere. Gli abitanti locali lo utilizzano quando hanno mal di denti, ma persino per tingere di porpora le vesti. Si prova una sensazione di incredulità anche a premere il pollice contro il fusto degli alberi di mirra, per poi portarsi al naso e annusare la resina, così come quando ci si ritrova immersi in un bosco di alberi di incenso.


    E come non scoppiare a ridere invece al cospetto di quei pupazzi animati arborei che sono gli adenum socotranum obesum: il loro lungo tronco pare gonfiato di aria, non hanno foglie, sui loro rami grassottelli sfoggiano vivacissimi fiorellini rosa e stanno appollaiati sopra le rocce ai piedi della catena dei monti Haghier. Quanto è buffa anche la dornestia gigas, una sorta di baobab bonsai a mo’ di bottiglia. Dopo essersi rinfrescati nelle piscine naturali formatesi dentro i canyon di roccia rossa nei pressi di Ayfath, o nella laguna immacolata di Detwah, ci si fa volentieri intrattenere dai delfini che giocano nell’Oceano Indiano di fronte alla spiaggia di Qalansiyah: saltellano beati nell’azzurro, mentre a qualche decina di metri di distanza i pescatori ritirano le reti cantando. Non si resiste alla tentazione di seguire i banchi di pesci gialli, arcobaleno, persino zebrati che hanno la tana nelle scogliere coralline di Darsa e Samha, le isolette sorelle di Socotra; mentre è davvero difficile, ma doveroso non allungare le mani sulle centinaia di conchiglie di colore blu, giallo, rosso, arancione fluo, i ciottoli scolpiti dalle onde e i fossili marini che riempiono l’infinita spiaggia della costa meridionale quasi ci trovassimo su fondali preistorici intonsi. Gli arenili di Zahik e Shoab del resto sono così solitari, si ha come la sensazione di esseri unici abitanti di un’isola deserta. A Ras Ersel, bianche morbide dune si sdraino quasi sin dentro l’acqua trasparente, mentre nella pancia della falesia di Momi si scoprono caverne antichissime, come del resto a Di Gub. Alzando gli occhi al cielo, ci si accorge che in questo scrigno della natura vivono non soltanto novecento specie floreali di cui addirittura un terzo endemico sopravvissute grazie al milionario isolamento ma anche rarissimi uccelli come lo zigolo, il gipeto, lo storno che a queste latitudini «indossano» un piumaggio dallo stile molto personalizzato e sono inseguiti soltanto dal binocolo discreto dei bird watcher.

     
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