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Sabratha
Libia , Distretto di Zawia
Se Italo Balbo, governatore della Libia italiana negli anni Venti, non è passato alla storia per particolari doti di strategia militare o di amministratore, chi ama le antichità gli sarà grato per aver restituito all’antico splendore il teatro di Sabratha. Soggiogato dalla bellezza delle rovine, Balbo attinse abbondantemente dalle casse dello Stato per intraprendere una colossale campagna di scavo e restauro. I lavori furono affidati agli archeologi Giacomo Giusti e Giacomo Caputo, che ricostruirono fedelmente il più grande teatro d’Africa, realizzato nel 190 d.C. per volere dell’imperatore Commodo.
L’auditorium, che poteva ospitare 5000 spettatori, misura quasi 95 metri di diametro, mentre il palcoscenico è lungo 45 metri. Alla spalle di quest’ultimo si trova una stupefacente frons scaenae, composta da tre nicchie semicircolari e da un triplice ordine di 108 colonne corinzie in marmo di diverso colore e con elaborate decorazioni sui capitelli.
I lati sono chiusi dalle versurae, ossia gli angoli, in cui il tracciato rettilineo della scena stessa si connetteva alla cavea. Magnifici poi, gli altorilievi scolpiti nelle nicchie, con celebrazioni allegoriche dei rapporti tra Roma e Sabratha, scene di danza e personaggi mitologici.
Ma il teatro non è l’unica delle meraviglie di Sabratha. Questa città portuale della Tripolitania romana, fondata da coloni punici nel IV secolo a.C., visse un’era di grande ricchezza tra il 138 e il 210 d.C. grazie al commercio di animali feroci e avorio dall’Africa a Roma.
Nell’arco di quel secolo d’oro, Sabratha vide la costruzione di monumentali edifici in marmo e in arenaria ricoperta di stucco. Tra questi spicca, anche grazie alla superba posizione sul mare, il tempio dedicato a Iside, il cui culto ebbe ampia diffusione nelle città romane e che qui veniva venerata come protettrice di naviganti, oltre al Capitolium, al santuario di Serapide, al tempio di Liber Pater e al monumento funerario, cosiddetto Mausoleo B.
Quest’ultimo, ricostruito dagli archeologi italiani, ha un tetto a piramide e mescola nello stile elementi punici, egizi, ellenisti e romani. Sono notevoli le decorazioni ad altorilievo sulle metope, delimitate da leoni che sorreggono figure maschili alte 3 metri.
Non lontano dal superbo teatro, tra la fine del II e l'inizio del III secolo sorse l'anfiteatro di Sabratha. Oltre all'ampia cavea, conserva intatti i corridoi dai quali le belve entravano nell'arena.
Sebbene molte statue e mosaici che ornavano Sabratha siano andati perduti o trasferiti nel museo posto ai margini dell’area archeologica, un’aura di grandiosità permane nelle costruzioni adibite alla vita comunitaria della città, come il foro, la curia e tre eleganti complessi termali.
Luogo di incontro della classe senatoriale, la Curia di Sabratha conserva buona parte delle colonne, sulle quali poggiano capitelli di ordine corinzio in marmo bianco. L'edificio è affacciato sul foro, centro della vita cittadina.
Il declino delle fortune di Roma, nel III secolo d.C., segnò gravemente il destino di Sabratha, che nel 365 d.C. venne funestata anche da un violento terremoto. La città dovette attendere quasi due secoli prima di riacquistare una certa importanza sotto i bizantini, nel Vi secolo. Risalgono a quell’epoca le costruzione della cinta muraria e della magnifica basilica di Giustiniano.
In verità, Sabratha possedeva già una basilica, di cui oggi restano solo le fondamenta, cge dal I secolo d.C. era adibita a tribunale e al culto degli imperatori prima di essere trasformata, 300 anni più tardi, in chiesa cristiana.
L’edificio fu teatro di un evento che, nel 158 d.C., ebbe forte risonanza in tutto il mondo romano. Vi fu infatti celebrato il processo contro il filosofo Apuleio, accusato di aver concupito e sposato un’anziana e ricca vedova per carpirle l’eredità facendo uso di poteri magici.
L’autore de L’asino d’Oro si occupò personalmente della difesa: la sua arringa durò quattro giorni ininterrotti, al termine dei quali venne scagionato. Quel capolavoro di oratoria, poi trascritto, non solo diede grande fama al suo autore, ma resta una preziosa fonte per la conoscenza della vita quotidiana nella Sabratha del II secolo d.C.Sebbene senza testa,
grazie ai simboli
e alla ricchezza delle vesti
si è potuta attribuire questa figura
all’imperatore Tito.
La scultura
è conservata
al Museo di Sabratha,
ricco anche di oggetti punici.
Questa flessuosa statua in marmo ritrae Naiade, ninfa considerata protettrice delle acque sorgive, e un tempo ornava una delle numerose fontane di Sabratha.
Un bacino ottagonale si apre nel bel mosaico che ornava uno degli ambienti principali delle sontuose "terme a Mare". da qui si gode una splendida vista sulla costa e sulle rovine dei magazzini dell'antico porto della città.
Questo raffinato pannello musivo ritrae un santo cristiano e risale all'epoca della nuova fioritura di Sabratha in epoca bizantina. Il mosaico, come altri rinvenuti nel sito, è conservato presso il Museo di Sabratha.
Il dio Oceano, dalla folta barba verde e acconciato con una corona di frutti, è rappresentato in questo mosaico che ornava un ambiente delle terme a mare. (M.@rt)
Edited by Milea - 21/7/2014, 20:27.