THE BEATLES - LA BIOGRAFIA - Fab Four Ever [FOTO]

L'epopea dei quattro leggendari Fab di Liverpool

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    I Me Mine (Four of Us)

    "I Beatles hanno lasciato i Beatles, ma nessuno vuole prendersi la briga di dire che la festa è finita"
    (Paul McCartney)


    Nel 1969 scoppia il litigio più grave in seno ai già devastati Beatles. Ruota intorno alla Northern Songs, la casa editrice musicale che possiede i diritti del catalogo Lennon-McCartney. Dick James, il suo fondatore, decide di vendere l'intera quota alla conglomerata londinese Atv Music, scatenando una sorta di lotta per il controllo della casa editrice tra John e Paul. Emergono fatti prima non conosciuti, come quello relativo a un numero maggiore di titoli detenuti da McCartney. John Lennon si innervosisce e preso dalla fretta di concludere si lascia sfuggire l'opportunità di controllare l'intero pacchetto insieme al socio e compagno di band. I diritti sulle canzoni dei Beatles vengono detenuti completamente dalla Atv Music. I quattro di Liverpool sono ormai divisi su praticamente ogni cosa. John Lennon continua con la sua strada da musicista solista, registrando prima il singolo "Cold Turkey" e poi "Instant Karma!". Il 25 novembre restituisce l'onorificenza Mbe per protestare contro i drammi umani in Biafra e Vietnam, e sfoga tutta la sua insoddisfazione per l'insuccesso commerciale della stessa "Cold Turkey", malvista dai benpensanti a causa del suo tema (la droga). Sia Paul McCartney che Ringo Starr sono al lavoro sui rispettivi album solisti, "McCartney" e "Sentimental Journey". Ormai la separazione è reale, mancando soltanto un'ufficialità che arriva il 10 aprile del 1970: è Paul McCartney che si carica l'onere sulle spalle, annunciando al mondo che il gruppo si è definitivamente sciolto. In realtà afferma in conferenza stampa di aver lasciato il gruppo, mentre l'ufficio stampa di Apple sottolinea come i Beatles potrebbero rimanere inattivi per anni. L'intero panorama musicale rimane profondamente scosso, data la recente pubblicazione del capolavoro Abbey Road e dell'apprezzato singolo "Let It Be". Un brano destinato a rientrare in un ultimo disco in studio, preparato dai quattro già a partire dal 1968-1969, modificato continuamente tra i dissidi. È il produttore statunitense Phil Spector che rimette mano all'album, prima di pubblicarlo nel 1970.


    Voluto fortemente da Lennon, Phil Spector regala a Let It Be (Apple Records, 1970) un controverso e contraddittorio sapore agrodolce, esaltandone - non è chiaro se in bene o in male - un carattere di fondo già fortemente desolato, squarciato da dissidi interni divenuti nel tempo insanabili. L'album è il canto del cigno prima del canto del cigno, quel Abbey Road che conclude in realtà la carriera del favoloso gruppo di Liverpool. I Beatles, al lavoro sulle canzoni di Let It Be, risentono pesantemente delle proprie vicissitudini come collettivo, andando alla fine a schiantarsi contro la loro stessa maestosità sonica. "Two Of Us" apre l'ultimo giro di giostra, tornando indietro nel tempo, fino a quelle armonie in stile Everly Brothers che accompagnavano le influenze dei primi Lennon e McCartney. Purtroppo, quelli attuali sono due separati in casa, che non riescono ad andare oltre lo scherzo sonico "Dig A Pony", ancorato alla celebrazione ormai postuma della morte di tutti i tabù benpensanti. Ci vuole il miglior estro psichedelico di Lennon per toccare il primo dei vertici del disco. Registrato circa due anni prima, "Across The Universe" è un altro piccolo viaggio in acido, salmodiante ed etereo quanto la contemporanea "I Am The Warlus" è schizoide e fuori controllo. Purtroppo gli arrangiamenti di Spector snaturano in parte la canzone, tra un wah-wah strascicante e un'atmosfera quasi disneyana a fare da sfondo. E qui si intuisce che l'album avrebbe potuto essere un'altra cosa - si noti ancora, forse un bene e forse un male - senza il lavoro del produttore. Esempio eclatante, "The Long And Winding Road", ultimo genuino quanto struggente affresco a firma Paul McCartney. La mano di Spector si fa qui più pesante, in parte regalando al brano una melliflua partitura orchestrale, con tanto di archi alla Mantovani e cori da Guardia Nazionale. Il brano, che nasce nel tentativo di andare incontro a un appeal commerciale e radiofonico, non riesce quindi a presentarsi con la solita, incomparabile immediatezza sonica. Le ottime intenzioni di partenza di Paul vengono così in parte snaturate, come uno stupendo quadro impressionista oscurato da una pesante cornice barocca. E poco fa questa volta Harrison per impreziosire il disco, con due opache prestazioni in chiave blues, "I Me Mine" e la swingante "For You Blue". Decisamente meglio quando Lennon e McCartney cercano di tornare agli albori, scatenandosi nel rock and roll scapestrato di "The One After 909" o nel sublime paesaggio soul-elettrico (prezioso il piano di Billy Preston) di "I've Got A Feeling". E alla fine il disco restituisce comunque il talento cristallino dei suoi autori, a partire dalla title track, ballata per piano di McCartney circondata come da un'aura da divinità del pop. Infine, "Get Back", ultimissimo manifesto motorizzato del rock and roll dei Beatles, probabilmente uno degli ultimamente rari casi in cui i Beatles si ritrovano a suonare coesi, con gusto, per la semplice volontà di farlo. Ne esce una canzone grintosa, azzeccata, dal vivo sulla terrazza con Lennon a dire: "Speriamo di aver passato l'audizione". In generale proprio sì.

     
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    Fasulla Beatlemania

    È il 1979. I Clash di Joe Strummer e Mick Jones pubblicano il seminale "London Calling"...

    E, nella prima canzone del disco, lo strimpellatore canta a squarciagola: "Questa fasulla Beatlemania ha morso la polvere". In fondo, si tratta dello stesso Joe Strummer che pochi anni prima negava con gagliarda fermezza l'accesso di certi dinosauri della musica alle porte rivoltose del neonato punk. "No Elvis, Beatles or Rolling Stones in 1977". Ma i quattro di Liverpool c'erano nel 1977, così come ci sono ora, nel 1979. Basti semplicemente pensare a quanto la coppia Strummer/Jones assomigli a quella Lennon/McCartney. Solo trapiantata in un'altra Inghilterra, in un altro tipo di rivolta, in un'altra velocità di accordi. Anche se è fuor di dubbio che canzoni indemoniate come "Helter Skelter" abbiano insegnato qualcosa negli anni Settanta. Eppure, qualcuno potrebbe convincersi di quanto vomitato da Joe Strummer e compagni: che i Beatles siano importanti come i grandi gruppi del passato, incapaci di slegarsi dalla loro epoca variopinta, amorevole, psichedelica. Come fare a separare i testi schizoidi di Lennon dall'assunzione quotidiana di droghe allucinogene? Da guru dimenticati come Leary e Alpert? Da un gusto sessantottino di comporre musica per una sorta di risveglio generazionale, a base di sessualità psichica, o di mente erotizzata? "Perché il valore dei Beatles - ha detto una volta George Martin - consiste nell'essere la voce della gente, nell'essere l'espressione della musica del loro tempo". Allora può essere davvero così. Ancora Martin: "La musica che abbiamo realizzato negli anni 60 è stata la migliore di quel periodo". Tralasciando Bob Dylan, i Doors, i Velvet Underground, Jimi Hendrix. Quello che effettivamente fanno Paul McCartney e soci e trasformarsi in breve tempo in autentiche icone generazionali, rappresentanti ultimi del loro incendiario tempo. La musica dei Beatles diventa la musica degli anni 60, anche soltanto per i colori, gli arrangiamenti, i vestiti sgargianti. E gli slogan come "All You Need Is Love". "Se parliamo di musica contemporanea - ha continuato Martin - bisogna parlare di Boulez, ma anche dei Beatles, e io sostengo che i Beatles sono stati i più importanti compositori di musica contemporanea. E come tali devono essere apprezzati". Qui, i quattro di Liverpool vanno al di là dello status di eroi generazionali, dal momento che le loro canzoni sono così dannatamente universali. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr danno vita a una creatura ben diversa dalle rispettive personalità artistiche, destinate inevitabilmente allo scontro. Ma non è affatto un caso che un disco come Let It Be riesca a brillare nonostante gli arrangiamenti eccessivi e una stanchezza di fondo dovuta all'ira, all'invidia, alla voglia di continuare in maniera isolata. E si può - anche a ragione - criticare i primi, adolescenziali album di rock and roll. Si può discutere sul voto in più o in meno al disco del Sergente Pepper piuttosto che ad Abbey Road. Ancora, si può privilegiare l'estro schizoide di John Lennon o il talento cristallino di Paul McCartney. Quello che resta è un gruppo che trasforma il rock in una forma dominante d'espressione nel XX secolo. Mica poco.



    Credits: Ondarock
     
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