GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

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    La madre


    E il cuore quando d'un ultimo battito
    Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
    Per condurmi, Madre, sino al Signore,
    Come una volta mi darai la mano.

    In ginocchio, decisa
    Sarai una statua davanti all'eterno,
    Come già ti vedeva
    quando eri ancora in vita.

    Alzerai tremante le vecchie braccia.
    come quando spirasti
    dicendo: Mio Dio, eccomi.

    E solo quando m'avrà perdonato,
    Ti verrà desiderio di guardarmi.

    Ricorderai d'avermi atteso tanto,
    e avrai negli occhi un rapido sospiro.

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    Dove la luce


    Come allodola ondosa
    Nel vento lieto sui giovani prati,
    Le braccia ti sanno leggera, vieni.
    Ci scorderemo di quaggiù,
    E del mare e del cielo,
    E del mio sangue rapido alla guerra,
    Di passi d'ombre memori
    Entro rossori di mattine nuove.
    Dove non muove foglia più la luce,
    Sogni e crucci passati ad altre rive,
    Dov'è posata sera,
    Vieni ti porterò
    Alle colline d'oro.
    L'ora costante, liberi d'età,
    Nel suo perduto nimbo
    Sarà nostro lenzuolo

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    Sono una creatura


    Come questa pietra
    del San Michele
    così fredda
    così dura
    così prosciugata
    così refrattaria
    così totalmente
    disanimata
    Come questa pietra
    è il mio pianto
    che non si vede.
    La morte
    si sconta
    vivendo.

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    Monte San Michele nel Carso fu durante la prima guerra mondiale teatro di aspri e sanguinosi combattimenti. Quella terra calcarea e porosa, quasi completamente priva di vita vegetale perché le acque non trattenute in superficie scorrono sotterranee, è per il poeta il simbolo di come la tragedia della guerra può sconvolgere l'umanità. Anche lui è una creatura: perciò non può rimanere indifferente alla morte di tante altre creature. La sua anima è ora, come le pietre del San Michele, indurita dal dolore e non più capace di sentire e trasmettere calore umano. Il poeta non ha più lacrime che mostrino all'esterno la sua profonda angoscia. Sente quasi la colpa di essere sopravvissuto a tanti che nella morte trovarono una liberazione dalla tragedia della guerra: egli però sta scontando la pena per non essere morto, vivendo una vita «disanimata» che è come un quotidiano morire.
     
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    Vanità


    D'improvviso
    è alto
    sulle macerie
    il limpido
    stupore
    dell'immensità

    E l'uomo
    curvato
    sull'acqua
    sorpresa
    dal sole
    si rinviene
    un'ombra

    Cullata e
    piano
    franta.

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    Soldati


    Si sta come
    d'autunno
    sugli alberi
    le foglie.

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    Amaro accordo


    Oppure in un meriggio d'un ottobre
    Dagli armoniosi colli
    In mezzo a dense discendenti nuvole
    I cavalli dei Dioscuri,
    Alle cui zampe estatico
    S'era fermato un bimbo,
    Sopra i flutti spiccavano

    (Per un amaro accordo dei ricordi
    Verso ombre di banani
    E di giganti erranti
    Tartarughe entro blocchi
    D'enormi acque impassibili:
    Sotto altro ordine d'astri
    Tra insoliti gabbiani)

    Volo sino alla piana dove il bimbo
    Frugando nella sabbia,
    Dalla luce dei fulmini infiammata
    La trasparenza delle care dita
    Bagnate dalla pioggia contro vento,
    Ghermiva tutti e quattro gli elementi.

    Ma la morte è incolore e senza sensi
    E, ignara d'ogni legge, come sempre,
    Già lo sfiorava
    Coi denti impudichi.

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    Sentimento del tempo


    E per la luce giusta,
    Cadendo solo un'ombra viola
    Sopra il giogo meno alto,
    La lontananza aperta alla misura,
    Ogni mio palpito, come usa il cuore,
    Ma ora l'ascolto,
    T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
    Le tue labbra ultime.

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    Allegria di naufragi


    E subito riprende
    il viaggio
    come
    dopo il naufragio
    un superstite
    lupo di mare

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    Mattina


    M'illumino
    d'immenso.

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    Il movimento si poneva da un Iato contro il Dannunzianesimo, dall'altro contro la poesia delle piccole cose di stampo crepuscolare; accostandosi alla poetica simbolista francese, il suo primo obiettivo era quello di restituire alla parola la sua verginità originaria, liberandola da tutte le incrostazioni derivate dall'uso comune: la parola doveva riacquistare la purezza, la capacità evocativa, la forza espressiva che aveva perso. Ai poeti ermetici premeva soprattutto celebrare sensazioni e atmosfere, prescindendo dai legami logici che incatenavano la parola, impedendole di liberare le sue enormi potenzialità. La poesia diventa allora il risultato di improvvise illuminazioni del poeta, che tocca il mistero dietro alla realtà apparente delle cose usando parole isolati dal loro normale contesto storico e logico. Perché ciò si realizzi, per esprimere ciò che con i normali mezzi espressivi non è esprimibile. lo strumento tecnico indispensabile diventa l'analogia, che consiste nell'accostare immagini distanti, frutto di queste folgorazioni del poeta. Elemento comune a tutti gli ermetici è, infine, il senso di estraneità che il poeta sente rispetto al reale: angoscia, crisi esistenziale, la certezza di non aver nulla da declamare e nessuna verità assoluta da affermare. Caposcuola riconosciuto dell'Ermetismo è stato Ungaretti, che ha portato all'estremo il processo di rarefazione della parola, arrivando a una tale concentrazione di significato da poter scrivere, già ne lontano 1917, una poesia composta da due sole parole, essenziale, ma ricca di implicazioni e suggestioni: M'illumino d 'immenso. Abolito ogni nesso logico e grammaticale, il frammento évoca un'atmosfera solare, che richiama analogicamente il concetto di infinito, di immensità; la luce che entra nell'animo del poeta lo riempie e lo esalta a tal punto da fargli toccare l'immenso, una sconfinata e illimitata sensazione di superamento dei limiti imposti all'uomo.
     
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    Non gridate più


    Cessate di uccidere i morti,
    Non gridate più, non gridate
    Se li volete ancora udire,
    Se sperate di non perire.

    Hanno l'impercettibile sussurro,
    Non fanno più rumore
    Del crescere dell'erba,
    Lieta dove non passa l'uomo.

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    Veglia


    Un'intera nottata
    buttato vicino
    a un compagno
    massacrato
    con la sua bocca
    digrignata
    volta al plenilunio
    con la congestione
    delle sue mani
    penetrata
    nel mio silenzio
    ho scritto
    lettere piene d'amore.
    Non sono mai stato
    tanto
    attaccato alla vita.

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    La notte bella


    Quale canto s'è levato stanotte
    che intesse
    di cristallina eco del cuore
    le stelle

    Quale festa sorgiva
    di cuore a nozze

    Sono stato
    uno stagno di buio

    Ora mordo
    come un bambino la mammella
    lo spazio

    Ora sono ubriaco
    d'universo.

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    Terra


    Potrebbe esserci sulla falce
    Una lucentezza, e il rumore
    Tornare e smarrirsi per gradi
    Dalle grotte, e il vento potrebbe
    D'altro sale gli occhi arrossare...

    Potresti la chiglia sommersa
    Dislocarsi udire nel largo,
    O un gabbiano irarsi a beccare,
    Sfuggita la preda, lo specchio...

    Del grano di notti e di giorni
    Ricolme mostrasti le mani,
    Degli avi tirreni delfini
    Dipinti vedesti a segreti
    Muri immateriali, poi, dietro
    Alle navi, vivi volare,
    E terra sei ancora di ceneri
    D'inventori senza riposo.

    Cauto ripotrebbe assopenti farfalle
    Stormire agli ulivi da un attimo all'altro
    Destare,
    Veglie inspirate resterai di estinti,
    Insonni interventi di assenti,
    La forza di ceneri - ombre
    Nel ratto oscillamento degli argenti.

    Il vento continui a scrosciare,
    Da palme ad abeti lo strepito
    Per sempre desoli, silente
    Il grido dei morti è più forte.

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    Edited by Lottovolante - 7/6/2012, 22:56
     
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    Perchè


    Carsia Giulia 1916

    Ha bisogno di qualche ristoro
    il mio buio cuore disperso

    Negli incastri fangosi dei sassi
    come un'erba di questa contrada
    vuole tremare piano alla luce

    Ma io non sono
    nella fionda del tempo
    che la scaglia dei sassi tarlati
    dell'improvvisa strada
    di guerra

    Da quando
    ha guardato nel viso
    immortale del mondo
    questo pazzo ha voluto sapere
    cadendo nel labirinto
    del suo cuore crucciato

    Si è appiattito
    come una rotaia
    il mio cuore in ascoltazione
    ma si scopriva a seguire
    come una scia
    una scomparsa navigazione

    Guardo l'orizzonte
    che si vaiola di crateri

    Il mio cuore vuole illuminarsi
    come questa notte
    almeno di zampilli di razzi

    Reggo il mio cuore
    che s'incaverna
    e schianta e rintrona
    come un proiettile
    nella pianura
    ma non mi lascia
    neanche un segno di volo

    Il mio povero cuore
    sbigottito
    di non sapere.

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    Tu ti spezzasti


    I molti, immani, sparsi, grigi sassi
    Frementi ancora alle segrete fionde
    Di originarie fiamme soffocate
    Od ai terrori di fiumane vergini
    Ruinanti in implacabili carezze,
    Sopra l'abbaglio della sabbia rigidi
    In un vuoto orizzonte, non rammenti?

    E la recline, che s'apriva all'unico
    Raccogliersi dell'ombra nella valle,
    Araucaria, anelando ingigantita,
    Volta nell'ardua selce d'erme fibre
    Più delle altre dannate refrattaria,
    Fresca la bocca di farfalle e d'erbe
    Dove le radici si tagliava,
    Non la rammenti delirante muta
    Sopra tre palmi d'un rotondo ciottolo
    In un perfetto bilico
    Magicamente apparsa?

    Di ramo in ramo fiorrancino lieve,
    Ebbri di meraviglia gli avidi occhi
    Ne conquistavi la screziata cima,
    Temerario, musico bimbo,
    Solo per rivedere all'elmo lucido
    D'un fondo e quieto baratro di mare
    Favolose testuggini
    Ridestarsi fra le alghe.
    Della natura estrema la tensione
    E le subacquee pompe,
    Funebri moniti.

    Alzavi le braccia come ali
    E ridavi nascita al vento
    Correndo nel peso dell'aria immota.

    Nessuno mai vide posare
    Il tuo lieve piede di danza.

    Grazia, felice,
    Non avresti potuto non spezzarti
    In una cecità tanto indurita
    Tu semplice soffio e cristallo,

    Troppo umano lampo per l'empio,
    Selvoso, accanito, ronzante
    Ruggito d'un sole d'ignudo.

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