GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

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    Mio fiume anche tu
    da Roma occupata



    I.

    Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
    Ora che notte già turbata scorre;
    Ora che persistente
    E come a stento erotto dalla pietra
    Un gemito d'agnelli si propaga
    Smarrito per le strade esterrefatte;
    Che di male l'attesa senza requie,
    Il peggiore dei mali,
    Che l'attesa di male imprevedibile
    Intralcia animo e passi;
    Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
    Agghiacciano le case tane incerte;
    Ora che scorre notte già straziata,
    Che ogni attimo spariscono di schianto
    O temono l'offesa tanti segni
    Giunti, quasi divine forme, a splendere
    Per ascensione di millenni umani;
    Ora che già sconvolta scorre notte,
    E quanto un uomo può patire imparo;
    Ora ora, mentre schiavo
    Il mondo d'abissale pena soffoca;
    Ora che insopportabile il tormento
    Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
    Ora che osano dire
    Le mie blasfeme labbra:
    "Cristo, pensoso palpito,
    Perchè la Tua bontà
    S'è tanto allontanata?"

    II.

    Ora che pecorelle cogli agnelli
    Si sbandano stupite e, per le strade
    Che già furono urbane, si desolano;
    Ora che prova un popolo
    Dopo gli strappi dell'emigrazione,
    La stolta iniquità
    Delle deportazioni;
    Ora che nelle fosse
    Con fantasia ritorta
    E mani spudorate
    Dalle fattezze umane l'uomo lacera
    L'immagine divina
    E pietà in grido si contrae di pietra;
    Ora che l'innocenza
    Reclama almeno un eco,
    E geme anche nel cuore più indurito;
    Ora che sono vani gli altri gridi;
    Vedo ora chiaro nella notte triste.

    Vedo ora nella notte triste, imparo,
    So che l'inferno s'apre sulla terra
    Su misura di quanto
    L'uomo si sottrae, folle,
    Alla purezza della Tua passione.

    III.

    Fa piaga nel Tuo cuore
    La somma del dolore
    Che va spargendo sulla terra l'uomo;
    Il Tuo cuore è la sede appassionata
    Dell'amore non vano.

    Cristo, pensoso palpito,
    Astro incarnato nell'umane tenebre,
    Fratello che t'immoli
    Perennemente per riedificare
    Umanamente l'uomo,
    Santo, Santo che soffri,
    Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
    Santo, Santo che soffri
    Per liberare dalla morte i morti
    E sorreggere noi infelici vivi,
    D'un pianto solo mio non piango più,
    Ecco, Ti chiamo, Santo,
    Santo, Santo che soffri.

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