GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

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    La terra promessa
    da Cori descrittivi di stati d'animo di Didone



    I.

    Dileguandosi l'ombra,

    In lontananza d'anni,

    Quando non laceravano gli affanni,

    L'allora, odi, puerile
    Petto ergersi bramato
    E l'occhio tuo allarmato
    Fuoco incauto svelare dell'Aprile
    Da un'odorosa gota.

    Scherno, spettro solerte
    Che rendi il tempo inerte
    E lungamente la sua furia nota:

    Il cuore roso, sgombra!

    Ma potrà, mute lotte
    Sopite, dileguarsi da età, notte?

    II.

    La sera si prolunga
    Per un sospeso fuoco
    E un fremito nell'erbe a poco a poco
    Pare infinito a sorte ricongiunga.

    Lunare allora inavvertita nacque
    Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
    Non so chi fu più vivo,
    n sussurrio sino all'ebbro rivo
    O l'attenta che tenera si tacque.

    III

    Ora il vento s'è fatto silenzioso
    E silenzioso il mare;
    Tutto tace; ma grido
    .
    Il grido, sola, del mio cuore ,
    Grido d'amore, grido di vergogna
    Del mio cuore che brucia
    Da quando ti mirai e mi hai guardata
    E più non sono che un oggetto debole.

    Grido e brucia il mio cuore senza pace
    Da quando più non sono
    Se non cosa in rovina e abbandonata.

    VII.

    Nella tenebra muta
    Cammini in campi vuoti dogni grano:
    Altero al lato tuo più niuno aspetti.

    VIII.

    Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
    Replica il mio le care tue fattezze;
    Nulla contengono di più i nostri occhi
    E, disperato, il nostro amore effimero
    Eterno freme in vele d'un indugio.

    X.

    Non odi del platano
    Foglia non odi a un tratto scricchiolare
    Che cade lungo il fiume sulle selci?

    Il mio declino abbellirò stasera;
    A foglie secche si vedrà congiunto
    Un bagliore roseo.

    XIII.

    Sceso dall'incantevole sua cuspide
    Se ancora sorgere dovesse
    Il suo amore, impassibile farebbe
    Numerare le innumere sue spine
    Spargendosi nelle ore, nei minuti.
    Spargendosi nelle ore, nei minutì

    XIV

    Per patirne la luce,
    Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
    Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
    Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
    Mai più, ormai mai più.
    Per patirne l'estraneo, il folle
    Orgoglio che tuttora adori,
    A tuoi torti con vana implorazione
    La sorte imputerebbero
    Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
    Ma grazia alcuna più non troverebbero,
    Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
    Od una sola lacrima,
    Gli occhi tuoi opachi, secchi,

    Opachi, senza raggi.

    XV.

    Non vedresti che torti tuoi, deserta,
    Senza più un fumo che alla soglia avvii
    Del sonno, sommessamente.

    XIX.

    Deposto hai la superbia negli orrori,
    Nei desolati errori.

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