GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

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    Gridasti soffoco
    da Un grido e paesaggi



    Non potevi dormire, non dormivi...
    Gridasti: Soffoco...
    Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
    Gli occhi, che erano ancora luminosi
    Solo un attimo fa,
    Gli occhi si dilatarono... Si persero...
    Sempre era stato timido,
    Ribelle, torbido; ma puro, libero,
    Felice rinascevo nel tuo sguardo...
    Poi la bocca, la bocca
    Che una volta pareva, lungo i giorni,
    Lampo di grazia e gioia,
    La bocca si contorse in lotta muta...
    Un bimbo è morto...

    Nove anni, chiuso cerchio,
    Nove anni cui nè giorni, nè minuti
    Mai più s'aggregeranno:
    In essi s'alimenta
    L'unico fuoco della mia speranza.
    Posso cercarti, posso ritrovarti,
    Posso andare, continuamente vado
    A rivederti crescere
    Da un punto all'altro
    Dei tuoi nove anni.
    Io di continuo posso,
    Distintamente posso
    Sentirti le mani nelle mie mani:
    Le mani tue di pargolo
    Che afferrano le mie senza conoscerle;
    Le tue mani che si fanno sensibili,
    Sempre più consapevoli
    Abbandonandosi nelle mie mani;
    Le tue mani che si fanno sensibili,
    Sempre più consapevoli
    Abbandonandosi nelle mie mani;
    Le tue mani che diventano secche
    E, sole - pallidissime -
    Sole nell'ombra sostano...
    La settimana scorsa eri fiorente...

    Ti vado a prendere il vestito a casa,
    Poi nella cassa ti verranno a chiudere
    Per sempre. No, per sempre
    Sei animo della mia anima, e la liberi.

    Ora meglio la liberi
    Che non sapesse il tuo sorriso vivo:
    Provala ancora, accrescile la forza,
    Se vuoi - sino a te, caro! - che m'innalzi
    Dove il vivere è calma, è senza morte.

    Sconto, sopravvivendoti, l'orrore
    Degli anni che t'usurpo,
    E che ai tuoi anni aggiungo,
    Demente di rimorso,
    Come se, ancora tra di noi mortale,
    Tu continuassi a crescere;
    Ma cresce solo, vuota,
    La mia vecchiaia odiosa...

    Come ora, era di notte,
    E mi davi la mano, fine mano...
    Spaventato tra me e me m'ascoltavo:
    E' troppo azzurro questo cielo australe,
    Troppi astri lo gremiscono,
    Troppi e, per noi, non uno familiare...

    (Cielo sordo, che scende senza un soffio,
    Sordo che udrò continuamente opprimere
    Mani tese a scansarlo...)

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    Giuseppe Ungaretti questa poesia l'aveva già scritta in Brasile, a caldo subito dopo la morte del figlio Antonietto, ma non l'aveva mai pubblicata. Poi questa drammatica esperienza volle metterla a disposizioni degli altri ( che è addirittura il tema iniziale del Porto sepolto del 1916), la pubblicò. Il vecchio capitano è dunque giunto in porto, in definitiva è tornato a sce gliere il deserto.
     
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83 replies since 8/4/2012, 13:52   3867 views
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