GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Lottovolante
        +1   Like  
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Founder
    Posts
    47,192

    Status
    Anonymous


    Monologhetto
    da Un grido e paesaggi



    Sotto le scorze, e come per un vuoto,
    Di già gli umori si risentono,
    Si snodano, delirando di gemme:
    ContUrbato, l'inverno nel suo sonno,
    Motivo dando d'essere
    Corto al Febbraio, e lunatico,
    Più non è, nel segreto, squallido;
    Come di sopra a un biblico disastro,
    Nelle apparenze, il velario si leva
    Lungo un lido, che da quell'attimo
    Si scruta per ripopolarsi:
    Di tanto in tanto riemergenti brusche
    Si susseguono torri;
    Erra, di nuovo in cerca d'Ararat,
    Con solitudini salpata l'arca;
    Ai colombai risale l'imbianchino.
    Sopra i ceppi del roveto dimoia
    Per la Maremma
    E
    Qua e là spargersi s'ode,
    Di volatili in cova,
    Bisbigli, pigolii;
    Da Foggia la vettura
    A Lucera correndo
    Con i suoi fari inquieta
    I redi negli stabbi;
    Dentro i monti còrsi, a Vivario,
    Uomini intorno al caldo a veglia
    Chiusi sotto il lume a petrolio nella stanza,
    Con i bianchi barboni sparsi
    Sulle mani poggiate sui bastoni,
    Morsicando lenti la pipa
    Ors' Antone che canta ascoltano,
    Accompagnato dal sussurro della rivergola
    Vibrante di tra i denti
    Del ragazzo Ghiuvanni:

    Tantu lieta è la sua sorte
    Quantu torbida è la mia.

    Di fuori infittisce uno scalpiccìo
    Frammischiato a urla e gorgoglio
    Di suini che portano a scannare, scannano,
    Principiando domani Carnevale,
    E con immoto vento ancora nevica.
    Lasciate dietro tre pievi minuscole
    Sul pendio scaglionate
    Con i tetti rossi di tegole
    Le case più recenti
    E,
    Coperte di lavagna,
    Le più vecchie quasi invisibili
    Nella confusione dell'alba,
    L'aromatica selva
    Di Vizzavona si attraversa
    Senza mai scorgerne dai finestrini
    I larici se non ai tronchi,
    E per brandelli,
    E
    Da Levante si passa poi dei monti,
    E l'autista anche a voce il serpeggio:

    Sulla, umbrìa, umbrìa,

    Segue, se lo ripete
    E, o a Levante o a Ponente, sempre in monti,
    Torna il nodo a alternarsi e, peggio,
    La clausura distesa:
    Non ne dovrà la noia mai finire?
    E,
    A più di mille metri
    D'altezza, la macchina infila
    Una strada ottenuta nel costone,
    Stretta, ghiacciata, .
    Sporta sul baratro.
    Il cielo è un cielo di zaffiro
    E ha quel colore lucido
    Che di questo mese gli spetta,
    Colore di Febbraio,
    Colore di speranza.
    Giù, giù, arriva fino
    A Ajaccio, un tale cielo,
    Che intirizzisce, ma non perché freddo,
    Perché è sibillino;
    Giù, arriva giù, un tale
    Cielo, fino a attorniare un mare buio

    Che nelle viscere si soffoca
    Il mugghiare continuo,
    Ed incede il Neptunia.
    A Pernambuco attracca
    E,
    Tra le barchette in dondolo,
    E titubanti chiattole
    Sul lustro elastico dell'acqua,
    Nel breve porto impone, nero,
    L'ingombro svelto del suo netto taglio.
    Ovunque, per la scala della nave,
    Per le strade gremite,
    Sui predellini del tramvai,
    Non c'è più nulla che non balli,
    Sia cosa, sia bestia, sia gente,
    Giorno e notte, e notte
    E giorno, essendo Carnevale.
    Ma meglio di notte si balla,
    Quando, uggiosi alle tenebre,
    Dalla girandola dei fuochi, fiori,
    Complici della notte,
    Moltiplicandone gli equivoci,
    Tra cielo e terra grandinano
    Screziando la marina livida.
    Si soffoca dal caldo:
    L'equatore è a due passi.
    Non penò poco l'Europeo a assuefarsi
    Alle stagioni alla rovescia,
    E, più che mai, facendosi
    Il suo sangue meticcio:
    Non è Febbraio il mese degli innesti?
    E ancora più penò,
    Il suo sangue, facendosi mulatto
    Nel maledetto aggiogamento
    D'anime umane a lavoro di schiavi;
    Ma, nella terra australe,
    Giunse. alla fine a mettere a un solleone,
    La propria più inattesa maschera.
    Non smetterà più di sedurre
    Questo Febbraio falso
    E,
    Fradici di sudore e lezzo,
    Stralunati si balli senza posa
    Cantando di continuo, raucamente,

    Con l'ossessiva ingenuità qui d'uso:

    Ironia, ironia
    Era so o que dizia.

    Il ricordare è di vecchiaia il segno,
    Ed oggi alcune soste ho ricordate
    Del mio lungo soggiorno sulla terra,
    Successe di Febbraio,
    perché sto, di Febbraio, alla vicenda
    Più che negli altri mesi vigile.
    Gli sono più che alla mia stessa vita
    Attaccato per una nascita
    Ed una dipartita;
    Ma di questo, non è momento di parlare.
    E anch'io di questo mese nacqui.
    Era burrasca, pioveva a dirotto
    A Alessandria d'Egitto in quella notte,
    E festa gli Sciiti
    Facevano laggiù
    Alla luna detta degli amuleti:
    Galoppa un bimbo sul cavallo bianco
    E a lui dintorno in ressa il popolo
    S'avvince al cerchio dei presagi.
    Adamo ed Eva rammemorano
    Nella terrena sorte istupiditi:
    E tempo che s'aguzzi
    L'orecchio a indovinare,
    E una delle Arabe accalcate, scatta,
    Fulmine che una roccia graffia
    Indica e, con schiumante bocca, attesta:

    Un mahdi, ancora informe nel granito, ..
    Delinea le sue braccia spaventose;

    Ma mia madre, Lucchese,
    A quella uscita ride
    Ed un proverbio cita:

    Se di Febbraio corrono i viottoli,
    Empie di vino e olio tutti i ciottoli.
    Poeti, poeti, ci siamo messi
    Tutte le maschere;

    Ma uno non è che la propria persona.
    Per atroce impazienza
    In quel vuoto che per natura
    Ogni anno accade di Febbraio
    Sul lunario fissandosi per termini:
    Il giorno della Candelora
    Con il riapparso da penombra
    Fioco tremore di fiammelle
    Di sull'ardore
    Di poca cera vergine,
    E il giorno, dopo qualche settimana,
    Del ,S'ei polvere e ritornerai in polvere;
    Nel vuoto, e per impazienza d'uscirne,
    Ognuno, e noi vecchi compresi
    Con i nostri rimpianti,
    E non sa senza propria prova niuno
    Quanto strozzi illusione
    Che di solo rimpianto viva;
    Impaziente, nel vuoto, ognuno smania,
    S'affanna, futile,
    A reincarnarsi in qualche fantasia
    Che anch'essa sarà vana,
    E ne è sgomento,
    Troppo in fretta svariando nei suoi inganni
    Il tempo, per potersene ammonire.
    Solo ai fanciulli i sogni s'addirebbero:
    Posseggono la grazia del candore
    Che da ogni guasto sana, se rinnova
    O se le voci in sé, svaria d'un soffio.
    Ma perché fanciullezza
    È subito ricordo?
    Non c'è, altro non c'è su questa terra
    Che un barlume di vero
    E il nulla della polvere,
    Anche se, matto incorreggibile,
    Incontro al lampo dei miraggi
    Nell'intimo e nei gesti, il vivo
    Tendersi sembra sempre.

    linea%20divisore_076


    Monologhetto: per una fine d'anno la Rai ebbe l'idea di chiedere a diversi scrittori un pezzo di prosa sul mese di nascita. A Ungaretti fu chiesto, naturalmente, il febbraio: le prime redazioni erano in prosa, ma una prosa già fortemente scandita e ritmica. Ed ecco che nasce questo vero e proprio poema (da distinguersi dai tre poemetti ) ed è per Ungaretti anche il motivo di una ricapitolazione della sua vita fino al viaggioe al soggiorno in Brasile. Era nell'aria una tendenza che portava al poemetto. Ungaretti la anticipò.
     
    .
83 replies since 8/4/2012, 13:52   3867 views
  Share  
.