Lottovolante pl@net

Posts written by Milea

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    Click Here to Play with Bellini




    Giovanni Bellini, Pietà
    (Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni), 1455-1460
    tempera su tavola, 86×107 cm
    Pinacoteca di Brera, Milano



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    Click Here to Play with Modigliani




    Amedeo Modigliani, Girl with Braids, 1918
    oil on canvas, 60x45cm.
    Nagoya City Art Museum


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    Giuseppe Arcimboldi, Winter
    Louvre Museum. 1573



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    Pieter Brueghel the Elder
    Massacre of the Innocents, 1567



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    Click Here to Play with Botticelli




    Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat (1480)
    Firenze, Galleria degli Uffizi


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    Vincent Van Gogh
    Branches with Almond Blossom, 1890



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    Claude Monet, Water-Lilies 1916
    oil on canvas, 89.5 × 100.3 cm (35.2 × 39.5 in)
    Museum of Fine Arts, Boston




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    Giocare con l’ Arte: i puzzle




    Ti piace l'arte? Allora divertiti ricomponendo i puzzle di quadri famosi. Nell'immagine ne puoi avere un esempio: si tratta di un quadro di Cezanne (Natura morta con cipolle), ma puoi scegliere tra tantissime altre proposte, sia di arte moderna che classica.


    CLICCA E INIZIA A GIOCARE




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    Giovanni Battista Tiepolo, Educazione di Maria (1732)
    olio su tela - 362x200 cm
    Venezia, chiesa di Santa Maria della Fava



    "E’ la grazia austera che compenetra e lega i gesti, l’assenza di espressione dei volti, la sospensione di significato. La scena di pedagogia domestica richiesta al pittore diventa infatti un mistero allusivo e segreto. Assistiamo a un evento che è anche un miracolo: è l’invisibile che si manifesta. Qualcuno sta insegnando a leggere a Maria: e non è sua madre. Non sono neppure i tre angeli che guardano la scena. Corporei, quasi pagani, questi angeli torneranno in molte altre opere di Tiepolo. La loro presenza non è funzionale all’azione. Sono dei mediatori del soprannaturale, che consentono alla bellezza di farsi visibile. Ma il loro messaggio non sarà raccolto".

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    A Venezia, dietro Rialto, si apre un campo dominato dalla facciata di mattoni, incompiuta, di una chiesa settecentesca: Santa Maria della Consolazione - o piuttosto, dal nome del rio che vi scorre, Santa Maria della Fava. E’ lì, sul primo altare a destra, che ho cominciato a capire Tiepolo. Pittore elusivo e prolifico, l’avevo sempre ammirato con l’impressione che, di lui, mi sfuggisse l’essenziale. Si tratta di una pala di dimensioni ragguardevoli (più di tre metri e mezzo per due). Non sappiamo da chi gli venne commissionata. Certo Tiepolo impiegò poco tempo a realizzarla: la sua velocità esecutiva era prodigiosa.

    Il quadro raffigura una ragazzina vestita di luce, in piedi su una pedana, sulla terrazza recintata da una balaustra a colonnette di un edificio di cui s’intravede solo un pilastro con capitello ionico. Il volto serio, malinconico e senza sorriso illuminato da una celestiale luce incandescente, la ragazzina indica, col dito, un rigo sulla pagina di un volume che pare sospeso in aria (o forse sorretto da tre cherubini) a una donna anziana, dal naso adunco, il volto naturalisticamente ragnato di rughe. Un vecchio barbuto prega a mani giunte, il viso rivolto verso l’alto. Sopra di loro, invisibili ai protagonisti, tre angeli di disarmante bellezza. La ragazzina è Maria, gli anziani Anna e Gioacchino, suoi genitori. Il titolo recita: L’educazione di Maria.

    Il soggetto dell’educazione di Maria, inconsueto nel Rinascimento (ricordo Pinturicchio, Pomarancio e un toccante affresco di scuola romana nella chiesa di Sant’Onofrio a Roma), acquistò crescente popolarità nel corso del ‘600. Quando, anche se l’educazione delle fanciulle rimase trascurata e trascurabile, si svilupparono congregazioni dedite all’educazione dei fanciulli - e tra queste in particolare gli Oratoriani, titolari della chiesa della Fava. Tiepolo comunque era già affascinato dal tema, e ne realizzò almeno tre varianti preliminari. Questa dovette ritenerla perfetta, perché mai in seguito riprese l’argomento.

    Dell’educazione di Maria tacciono i Vangeli canonici, e gli apocrifi introducono la leggenda della Presentazione: consacrata a Dio, la Vergine bambina sarebbe stata affidata da Anna e Gioacchino ai sacerdoti, ed educata fino alla pubertà nel Tempio di Gerusalemme, dove la servivano e la nutrivano gli angeli. I padri della Chiesa promossero invece una versione diversa: fu educata in casa, dai suoi genitori. Ma i suoi veri pedagoghi furono la Grazia e il Verbo. Ora, nella pala di Tiepolo come nelle altre, il fulcro dell’educazione casalinga di Maria è la lettura. Maria legge. Le Sacre Scritture, s’intende. Tuttavia, per un popolo di non-lettori incalliti come il nostro, l’immagine di una ragazzina che legge acquista una forza simbolica che travalica il suo significato letterale.


    Bildung-der-Jungfrau-Maria-angeli



    Nel 1732 Tiepolo, trentaseienne, è già ‘pittore celebre’. Si è presto emancipato dal suo maestro Lazzarini, ha bordeggiato la pittura ‘tenebrosa’ tardobarocca, ha sbalordito per capacità d’invenzione e virtuosismo tecnico; ha decorato soffitti di ville e palazzi con affreschi storici e profani; è stato chiamato da farmacisti e aristocratici antichi o recenti, dal doge e dal vescovo. In questa pala si confronta col rivale poco più anziano, Piazzetta, che ha già digerito e superato. Forse per rispettoso omaggio, forse per maliziosa sfida, o forse per dovere: alla Fava, la pala più grande era di Piazzetta. Tiepolo dipinge la propria usando i toni bruni e il chiaroscuro deciso dell’altro, presta ai suoi personaggi il plasticismo e le fisionomie di quello. Ma Tiepolo assorbe ogni suggestione dai contemporanei per trasformarla in qualcosa di irriducibilmente suo. E non sono solo la luminosità intensa e i colori - nell’armonizzare i quali, mediante il contrapposto, diverrà insuperabile. Qui dei futuri, preziosi colori tiepoleschi appare soltanto il blu di Prussia del manto di Maria, il bianco avorio dell’abito e della nube che l’avvolge, e la raffinatissima gamma dei gialli, culminanti nella seta del cuscino su cui si appoggia l’angelo dalle ali spiegate. E dei cieli che dipingerà come nessuno c’è solo uno spicchio azzurro.

    E’ la grazia austera che compenetra e lega i gesti, l’assenza di espressione dei volti, la sospensione di significato. La scena di pedagogia domestica richiesta al pittore diventa infatti un mistero allusivo e segreto. Assistiamo a un evento che è anche un miracolo: è l’invisibile che si manifesta. Qualcuno sta insegnando a leggere a Maria: e non è sua madre. Non sono neppure i tre angeli che guardano la scena. Corporei, quasi pagani, questi angeli torneranno in molte altre opere di Tiepolo. La loro presenza non è funzionale all’azione. Sono dei mediatori del soprannaturale, che consentono alla bellezza di farsi visibile. Ma il loro messaggio non sarà raccolto. Negli anni Trenta del ‘700 i veneziani non credevano più agli angeli, e la pittura religiosa stava per eclissarsi: la pala della Fava è l’estrema visione di una tradizione sacra agonizzante. Presto la pittura diventerà altro. Esibizione di ricchezza, fasto e potere, allegoria di se stessa. E Tiepolo avrebbe finito per lasciare la sua Venezia e inseguire in tutta Europa la gloria che quella nuova pittura frivola e lieve prometteva.

    Gli angeli della Fava già prendono congedo dagli uomini: d’ora in poi, non creduti e superflui, osserveranno la loro vita dall’alto, con un’indifferenza languida che è già sintomo di estraneità. E Tiepolo sarà, forse, con loro. Nulla sappiamo della sua vita intima o dei suoi pensieri. La sua biografia è la sua opera. La sua pittura perderà contatto con la realtà e con la storia, e non vorrà offrire significati né essere vera - diventerà un teatro, una mascherata, un sogno dolce, una festa per gli occhi e per i sensi: ma lui sarà, come i suoi angeli, altrove. Melania Mazzucco



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    Chaumes_de_Cordeville__Auvers-sur-Oise
    Vincent van Gogh
    Chaumes de Cordeville à Auvers-sur-Oise
    [Casolari con tetto di paglia a Cordeville, Auvers-sur-Oise]
    (1890), olio su tela - cm 73 x 92
    Parigi, Musée d'Orsay



    Questo quadro è stato dipinto durante il periodo creativo più intenso e frenetico della carriera dell'artista, alcune settimane prima della sua tragica fine. Van Gogh ha lasciato la Provenza nel maggio del 1890, dopo essersi sottoposto volontariamente a trattamenti medici presso l'ospedale psichiatrico di Saint-Rémy. L'artista si è stabilito a Auvers-sur-Oise, a Nord di Parigi. Il 10 giugno, il pittore scrive al fratello Théo che sta lavorando a "due studi di case nella vegetazione". Corot, Daubigny, Pissarro o Cézanne hanno già evocato il quieto fascino di Auvers. Van Gogh, invece, lo trasformerà in una terra vulcanica in cui le case appaiono storte per effetto di un sisma.

    Il pittore sottopone questo paesaggio ad una vera e propria trasmutazione scatenata da forze psichiche. Les tranquille case dai tetti di paglia che si possono ancora osservare in vecchie fotografie, sembrano come sollevate da una certa potente forza tellurica che dilata i volumi. Il disegno scapigliato, vorticoso, fa ondulare il tetto, avvolge a spirale i rami degli alberi, trasforma le nubi in arabeschi... Inoltre, la materia pittorica è lavorata ad impasto grasso, scavata nel suo spessore da veri e propri solchi.

    Di certo, non è l'artista che, come i romantici, prova inquietudine al cospetto di questo paesaggio maestoso. Al contrario, è proprio lui che sconvolge e dà vita e vigore ad ogni singola catapecchia e ad ogni singolo cipresso. Come nel Cielo stellato del 1889 (New York, MoMA), tutti gli elementi del paesaggio si fondono nel deformarsi dei loro contorni conferendo così, all'intera veduta un aspetto fantastico. Fonte


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    Chaumes_de_Cordeville__Auvers-sur-Oise-d

    Vincent van Gogh
    Chaumes de Cordeville à Auvers-sur-Oise
    [Thatched Cottages at Cordeville, Auvers-sur-Oise]
    (1890), oil on canvas, H. 73; W. 92 cm
    Paris, Musée d'Orsay



    This picture was painted during the artist's most frenetic creative period, a few weeks before his tragic death. Van Gogh had left Provence in May 1890, at the end of his voluntary stay at the asylum in Saint-Rémy. He moved to Auvers-sur-Oise, north of Paris. On 10 June, he wrote to his brother Theo that "he was doing two studies of houses out in the countryside". Corot, Daubigny, Pissarro and Cézanne had already evoked the peaceful charm of Auvers. Van Gogh would transform it into a volcanic land where the houses seem to have been twisted by an earthquake.

    Here the painter subjects the landscape to a veritable transmutation driven by psychic forces. The peaceful thatched cottages, which can still be seen in old photographs, seem to have been lifted by some powerful telluric force that has dilated them. The wild, swirling design makes the roof undulate, sends the tree branches up in spirals, transforms the clouds into arabesques... Moreover, the image is worked in thick impasto with real furrows gouged into the paint.

    It is clear that this artist is not overwhelmed as the Romantics were by the awe-inspiring landscape. On the contrary, it is he who torments and inflames the lowliest hovel and the smallest cypress tree. Just as in Starry Night (New York, MoMA) from 1889, all the elements in the landscape unite in distorting their contours and give the whole scene a supernatural air.


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    René Lalique, Papavero (Pavot), 1897
    Oro, argento, diamanti sfaccettati, smalto cloisonné e a giorno, traslucido opaco ed opaco brillante
    Cm 7 x 23,5 x 10,5
    Paris, Grand Palais (Musée d'Orsay)



    "Guardando questo fiore, si ha come l'impressione che esso possa incresparsi da un momento all'altro, mosso da un semplice respiro, per come, ognuna delle sue parti, sembra muoversi ed oscillare". Questa fu la reazione della critica contemporanea alla presentazione dell'opera al Salon de la Société des Artistes français del 1897. Il disegno delicato è realizzato con una tecnica estremamente elaborata. Sostenuta da un gambo d'argento, la corolla d'oro è colorata da smalti cloisonné e a giorno, traslucidi ed opachi. "Da questa corolla, spunta fuori la testa di un papavero, fatta con uno smalto blu scuro che una cresta di diamanti mette in ombra. Gran parte degli stami terminano con una punta di smalto nero che rianima questa armonia rara". L'oggetto può essere smontato in sette parti: gambo, quatto petali, stami e pistilli. Riconosciuto da Emile Gallé come l'inventore del "gioiello moderno", René Lalique ha rivoluzionato l'arte della gioielleria traendo ispirazione dalla flora dei campi e mischiando le pietre preziose con materiali inconsueti come il corno, il vetro o lo smalto.







    René Lalique (1860-1945)
    Poppy, 1897
    Gold, silver, polished diamonds; cloisonné, openwork,
    matte translucent, and glossy opaque enamel
    H. 7; W. 23.5; D. 10.5 cm
    Paris, Grand Palais (Musée d'Orsay)





    "You would think that this flower would crumple with a puff of wind, because each part seems mobile and alive", commented a contemporary when the work was exhibited at the Salon de la Société des Artistes Français in 1897.

    The delicate design is served by dazzling technique. On the end of the silver stem, the gold corolla is coloured with cloisonné and openwork translucent and matte enamel. "From this corolla emerges the head of the poppy, made of dusty blue enamel that a crest of diamonds keeps in the shadow. A large number of stamens end with a drop of black enamel which heightens this rare harmony". The object can be dismantled into seven parts: the stem, four petals, stamens and pistils.

    Acclaimed by Emile Gallé as the inventor of "modern jewellery", René Lalique revolutionised jewellery by taking his inspiration from wild flowers and mingling unusual materials such as horn, glass or enamel with the precious stones. Fonte





    Edited by Lottovolante - 15/4/2013, 23:40
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    Benjamin Spence, Il sussurro dell'Angelo (1857 circa)
    Gruppo in marmo, cm 68 x 72 x 63
    Parigi, Museo d'Orsay



    Il sussurro dell' Angelo è una scultura che si ispira ad un poema di Samuel Lover, in cui si narra una vecchia credenza irlandese in base alla quale quando un bambino sorride nel sonno è perché sta parlando con un angelo.
    Le scultore Spence è un emulo del neoclassicismo: vive e lavora a Roma presso il più grande scultore inglese dell'epoca, John Gibson. Spence si rifà a Gibson per quanto riguarda il trattamento dei corpi e dei volumi definiti con precisione e che la luce avvolge senza trovare impedimenti. Spence addolcisce tuttavia gli aspetti più severi del suo maestro mostrando interesse nei confronti di una certa sentimentalità e ricavando volentieri i suoi soggetti non dalla mitologia greca ma da Shakespeare o, come in questo caso, dalla letteratura romantica inglese ed anche dalla Bibbia. Il gruppo accentua le serie di curve e contro curve: l'angelo si china con un movimento molto delicato, l'intrecciarsi delle pieghe, la lieve sgualcitura che si forma sul letto del bambino sottolineano con delicatezza la materia plasmata facendo attenzione ai più piccoli dettagli. L'insieme è messo in risalto con discrezione in qualche punto, come nel caso della capigliatura dell'angelo, le cui ciocche e la corona di fiori rivelano una grande ricercatezza. La commissione di tale opera, da parte di un facoltoso commerciante di Liverpool, ebbe luogo in Italia. In seguito, questo gruppo in marmo sarà esposto insieme ad altre sculture in una galleria allestita per l'occasione.


    Edited by Lottovolante - 15/4/2013, 21:26
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    Benjamin Spence, The Angel's Whisper (1857 ca.)
    Marble group, H. 68; W. 72; D. 63 cm
    Paris, Musée d'Orsay




    The Angel's Whisper was sculpted after a poem by Samuel Lover, which recounts an Irish belief that when a baby smiles in his sleep he is talking to an angel. The sculptor, Spence, was an admirer of Neoclassicism. He lived in Rome and worked with the greatest English sculptor of the time, John Gibson. From Gibson he borrowed the treatment of the bodies and precisely defined volumes smoothly enveloped by the light. But he tempered the rigid aspects of his master's work with a taste for sentimentality and readily took subjects not from Greek mythology but from Shakespeare, romantic English literature, as here, or the Bible. The group accentuates the play of curves and counter curves: the angel is bending in a fluid move-ment, and the network of folds and the child's gently crumpled bed delicately emphasise the subtly modelled flesh. The whole is discreetly accentuated in several places, such as the angel's hair and crown of flowers, which are particularly carefully worked. An important Liverpool merchant commissioned the work in Italy and exhibited it among other sculptures in a gallery built for the occasion.



    spence-sussurro-dellangelo1
    Fonte






    Edited by Lottovolante - 15/4/2013, 21:25
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    Le invenzioni di Leonardo da Vinci:
    la barca a pale



    Leonardo-barca-a-pale



    L’idea della barca a pale venne a Leonardo dopo aver considerato che una corrente di acqua metteva in movimento una ruota dotata di pale. In questo modo l’acqua generava la rotazione dell’albero, al quale si potevano così collegare le macchine utilizzatrici.

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    Leonardo pensò di sfruttare il sistema in maniera inversa, cioè invece di ricevere il moto dall’acqua per permettere la rotazione e generare energia, pensò di fornire energia su delle speciali ruote dotate di pale e poste ai lati di un’imbarcazione.
    In questo modo le ruote, azionate da una semplice manovella e poste in semi immersione in acqua, garantivano al natante un movimento più agevole e continuo, in confronto alle semplici barche a remi.

    Nel progetto di Leonardo ogni pala era lunga circa novanta centimetri e le ruote misuravano circa 60 cm. Secondo i suoi calcoli, si poteva raggiungere una velocità di “50 milia per ora” facendo compiere alla ruota 50 giri al minuto. L’obiettivo di Leonardo era sempre lo stesso. Permettere di muoversi in modo sempre più agile e sempre meno faticoso, rendendo così più facile e efficace la navigazione.

    L’interno dell’imbarcazione secondo il progetto del Genio fiorentino era compostoda una intelaiatura che collegava una barra di trasmissione a due ruote dentate ai due lati del natante. Le ruote dentate venivano azionate a braccia da due uomini ma nell’evoluzione di questa idea le pale potevano essere azionate con i piedi con semplici pedali. Gli uomini che dovevano azionare le ruote erano posizionati sotto il ponte della barca e da lì, tramite un sistema di cinghie e funi mettevano in movimento il grande tamburo centrale che ingranava con un sistema a ruote, con pioli e lanterna. Fonte





    Leonardo-barca3




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    footballeursNicolas-de-Stael
    Nicolas de Staël (Saint-Pétersbourg 1914 - Antibes, Alpes-Maritimes 1955 )
    Les Footballeurs - 1952
    0lio su tela, 81x65 cm
    Aix en Provence, Musée Granet




    La prima volta allo stadio non si dimentica.
    Di giorno è bello, di notte è una folgorazione. Cammini in un budello di cemento armato, sali una ripida rampa di scale e all’improvviso ti ritrovi sulle gradinate, frastornato dal ruggito della folla: in alto le luci abbacinanti dei proiettori e il cielo nero, davanti migliaia di teste frementi - e laggiù un fazzoletto d’erba dove pulsano figure colorate. Nel 1952 le partite in notturna costituivano ancora una novità assoluta. La sera di mercoledì 26 marzo al Parco dei Principi di Parigi contro la nazionale di Francia venne a giocare la Svezia.

    Si trattava di un’amichevole, ma importante, perché le squadre non si affrontavano dal 1935. Gli ospiti erano stati preceduti da una rispettosa ironia. La Svezia aveva raggiunto la finale ai Mondiali del 1950 (a danno dell’Italia). Ma da allora i migliori talenti erano emigrati all’estero, molti calciatori della nazionale erano dilettanti e inoltre d’inverno non si allenavano. I giornali diedero molto risalto all’avvenimento, preannunciato come un rito mistico. Pubblicarono artistiche foto in bianco e nero di altre partite giocate in notturna: il calcio diventava danza, il pallone una luna d’argento, i calciatori ballerini dalle movenze eleganti. Possibile che i pittori non si sentissero sfidati da un soggetto così? In Italia c’era stato un nobile precedente - il pioniere Umberto Boccioni, che si era interessato al dinamismo dei calciatori fin dal 1913. Ma il calcio in Francia non ispirava l’arte.

    Invece quel mercoledì di marzo allo Stade de France, tra i moltissimi spettatori - che, scrisse un testimone, offrivano un colpo d’occhio impressionante, spalmati sulle gradinate come caviale - c’era anche un pittore.

    Nicolas de Staël, considerato in quel momento il più promettente, dotato e originale artista del dopoguerra: la Francia gli aveva concesso la cittadinanza e lo aveva adottato. Russo di nascita, figlio di un generale zarista, di famiglia aristocratica costretta all’esilio dalla Rivoluzione bolscevica, orfano a otto anni, era cresciuto in Belgio. Aveva speso la giovinezza inquieta viaggiando in Europa e Africa del Nord, sperimentando e cercando di scoprire quale pittore voleva essere. Maturava con lentezza - solitario, ma attento alle creazioni degli altri. Nei tetri anni dell’occupazione nazista si era fatto apprezzare per alcune tele astratte, alquanto cupe e angoscianti.

    Quella sera andò dunque allo stadio con la moglie Françoise.
    Alto, esotico, bellissimo, da ragazzo era stato un notevole sportivo, e si predisponeva semplicemente a gustare una partita di calcio. Gli svedesi giocavano in maglia gialla, calzoncini celesti e calzettoni a righe orizzontali, i francesi in divisa blu. I francesi, un po’ per sussiego, un po’ per scarso impegno, giocarono senza ispirazione e senza furore. Furono sopraffatti dalla velocità e dall’agonismo degli avversari. Gli svedesi impartirono ai calciatori e agli spettatori una lezione di tattica, tecnica e volontà. Segnarono una sola rete, di testa, all’83’, ma avrebbero potuto stravincere. Il pittore però trasformò la disfatta in arte.
    Ossessionato dalla sarabanda delle maglie gialle svedesi intorno a quelle blu dei francesi, che si stagliavano colorate contro il buio, e dal movimento dei giocatori, che volteggiavano dimentichi di sé sul prato verde pisello sotto le luci artificiali dei proiettori, appena rientrato nello studio iniziò a dipingere: non la partita reale, che aveva visto, ma l’emozione indelebile che gli aveva lasciato.

    In pochissimi giorni realizzò una serie di quadri di piccole dimensioni, tutti intitolati Footballeurs - un poema sportivo per frammenti che sta alla pittura come il ciclo di sonetti sul calcio di Saba alla poesia. In essi, de Staël coronava il progressivo ritorno alla figura - alle forme che da qualche mese si erano riaffacciate nella sua opera. Cioè, abbandonava l’astrazione pura, proprio quando lo stavano etichettando come il contraltare europeo di Pollock. Trasformò i corpi dei calciatori in masse di colore, un mosaico di riquadri pennellati con la spatola - come qualche tempo prima aveva fatto coi tetti di Parigi. Nello spazio appiattito, è l’alternanza dei colori a creare movimento. I Footballeurs sono tutti simili e tutti diversi. Qualcuno più semplice, più vicino alla realtà, qualcuno più visionario. Nel quadro di Aix, le sagome dei calciatori, le teste, le gambe, i calzettoni, l’erba, sono ancora riconoscibili, braci di colore che ardono sul muro nero della notte. Infine de Staël dipinse il più grande della serie, lo intitolò Stade de France e passò oltre.

    La serie dei Footballeurs lo aveva come liberato.
    In tre anni dipinse con furore centinaia di quadri - sempre più grandi, sempre più luminosi ed essenziali - in cui però le forme e le figure restavano sempre leggibili. Inventò una pittura di colore e luce. Per un nudo, gli bastava qualche linea sinuosa e due colori, per le ali dei gabbiani qualche virgola di bianco. Dipinse così bottiglie, fiori, paesaggi, finestre. Divenne un maestro del colore, come Matisse. Divenne ricco, riebbe la vita che gli era stata strappata dalla storia - e all’improvviso se la tolse. Lui che aveva definito lo spazio della pittura un muro, dove però volano liberi gli uccelli del mondo, scelse una morte aerea, verticale, lanciandosi nel vuoto a quarantun anni.

    Non so se De Staël amasse particolarmente il calcio.
    Il calcio è strategia e imprevedibilità, tecnica ed estro, tattica e occasione, esercizio e applicazione ma anche talento e genio. Qualità che anche lui possedeva. In una partita, il caso svolge un ruolo decisivo. Anche lui credeva nel caso, aveva fede nell’ispirazione, nell’azzardo, nel rischio. Bisogna lavorare, aveva scritto a un amico: ci vuole una tonnellata di passione e cento grammi di pazienza. La pazienza era finita, la passione - per la pittura, per la materia, per la luce - l’ha consegnata a noi. Melania Mazzucco


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