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Posts written by Milea

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    SEATTLE:
    il muro di chewing gum






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    Altro che lucchetti. Questo "muro di gomma" si trova nel centro di Seattle, a Post Alley sotto il Pike Place Market: The Market Theater Gum Wall è diventato famoso abbastanza da avere una sua pagina su Wikipedia. Sui suoi quattro metri e mezzo di altezza e i circa sedici di lunghezza, ci sono attaccati vent'anni di gomme da masticare. E' dal 1993 che i passanti lasciano sul muro chewing gum, con o senza monetina di buona fortuna incastrata dentro. Negli anni ci sono stati un paio di tentativi di pulizia, ma il muro ha continuato a colorarsi fino a diventare un'importante attrazione turistica. Ora qualcuno crea e attacca anche piccole opere d'arte fatte di gomme masticate. Luogo prescelto per le foto di nozze, è stato anche immortalato nel film con Jennifer Aniston, Love Happens.



    Edited by Kolisch11 - 29/3/2013, 19:06
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    Giotto, La resurrezione di Lazzaro
    Padova, Cappella degli Scrovegni




    Tra i personaggi del Vangelo, prediligo Lazzaro. La sua resurrezione viene narrata solo da Giovanni. Giovane di ricca famiglia - alquanto diverso dai pescatori e dagli artigiani di cui si circonda il Maestro - è nel sepolcro già da quattro giorni quando, invocato dalle sorelle Marta e Maddalena, Gesù arriva a Betania. Ha già resuscitato il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giairo, ma in privato. Ora richiama Lazzaro alla vita: basta la sua voce. E’ un miracolo del Verbo. Si tratta del miracolo più clamoroso di Gesù: è anche l’ultimo. Benché abbia ispirato innumerevoli pittori - e la versione di Caravaggio è più sconvolgente - quella di Giotto ha qualcosa di definitivo. Essa ci abita. Giotto è all’origine del nostro immaginario.




    L’affresco si trova nella cappella degli Scrovegni, a Padova. Il committente è Enrico, impopolare in città ma ricchissimo; l’impresa decorativa deve celebrare il riscatto dell’umanità ed essere realizzata rapidamente (neanche due anni). La semplicità della composizione, l’economia dei segni e dei simboli, la chiarezza delle immagini, l’armonia dei colori, la potenza narrativa, la carica emozionale che deriva dalla verosimiglianza e dall’umanizzazione delle storie sacre fecero, e fanno ancora, un effetto indelebile.

    Giotto è semplice, universale e immediato, come il Vangelo; terragno, risentito e mistico come il suo coetaneo Dante. Parla agli illetterati e ai dotti, ai fedeli e ai miscredenti. Ma anche ai pittori, che per secoli impareranno qui il segreto della decorazione muraria - come valorizzare la parete senza negarla, come sviluppare lo spazio senza dare profondità, come individualizzare i personaggi, svolgere la narrazione in modo da intensificare il dramma, scegliere il momento culminante dell’azione, eliminare il superfluo, indurre emozioni tramite le forme e i colori.

    La resurrezione di Lazzaro si trova nel secondo registro della parete sinistra della cappella, preceduto dalle Nozze di Cana. E’ solo un episodio nella storia più vasta della vita di Maria e di Gesù, che Giotto illustra su tre livelli sovrapposti, istituendo fra le scene una rete complessa di echi e risonanze. Tuttavia ogni episodio è anche un capitolo a se stante, e come tale può essere letto.

    La metafora è abusata ma necessaria: Giotto volle che sulle pareti della cappella le pitture si leggessero in orizzontale, da sinistra a destra, come un libro appunto. Non solo nel loro insieme, ma anche le singole immagini. Anche la Resurrezione va letta perciò nello stesso modo.

    Sulla sinistra Giotto colloca il gruppo degli apostoli con l’aureola, dai quali spicca Gesù - lievemente rialzato rispetto agli altri, la mano levata che si staglia contro il cielo azzurro. Le espressioni dei volti comunicano stupore e attesa. Gesù ha appena gridato: “Lazzaro, vieni fuori”.Prostrate ai suoi piedi, ancora nell’atto di scongiurarlo di riportare Lazzaro alla vita, le sorelle del morto - Marta, vestita di chiaro, in primo piano; dietro di lei, in rosso, Maddalena - sono ignare di quanto accade alle loro spalle, dove un secondo gruppo è agitato da un movimento convulso di sconcerto e meraviglia. Sul lato destro, speculare alla figura di Gesù, c’è Lazzaro, avvolto in bianche bende, come una mummia.

    San Pietro gli sta svolgendo le fasce; un apostolo si tura naso e bocca con un lembo dell’abito per non respirare il tanfo di putrefazione che si leva da lui. E così fa alle sue spalle il giudeo barbuto che si scherma con l’abito azzurro. L’affresco è muto e inodore, eppure Giotto attiva tutti i nostri sensi, e ci fa percepire i bisbigli, le parole, la puzza. Il paesaggio è ridotto a una rupe nuda e tre alberi verdi. In basso, a destra, due garzoni trascinano la lastra di marmo della tomba, riprodotta con virtuosismo in tutte le sue venature.



    L’inclinazione della lastra induce chi guarda a proseguire la lettura, e a passare al capitolo successivo (L’entrata in Gerusalemme). Io invece sono ipnotizzata da Lazzaro, che Giotto dipinge con lo stesso crudo realismo con cui Dante descrive nell’Inferno le pene dei dannati (anche quelle del padre del committente di Giotto, Reginaldo Scrovegni, seduto sulla sabbia rovente nel VII cerchio destinato agli usurai e tormentato da una pioggia di fuoco). Cadaverico, ancora rigido, le labbra nere socchiuse, gli occhi revulsi, Lazzaro non si rende conto di essere vivo. Tutti vorrebbero ascoltare le sue parole: cosa c’è, dall’altra parte? Ma il Vangelo tace, e dunque anche il pittore.

    Giotto è fedele alla lettera del Vangelo (anche se apocrifo): per volontà del committente, del ‘suggeritore’ (il teologo che forse stese il piano iconografico), o sua. Si permise una sola variante. Apprendendo la notizia della morte di Lazzaro, Gesù piange. Ora nei Vangeli Gesù compie molte azioni: cavalca un asino, traccia segni in terra, tiene discorsi. Ma piange solo due volte: per la sorte di Gerusalemme, e qui. Giovanni lo spiega molto umanamente: Lazzaro era suo amico. Ecco, l’idea che Cristo resusciti il suo amico, e non un morto qualunque, mi è sempre sembrata incredibilmente eversiva. Per amicizia, compie infatti un miracolo davvero rischioso. In pubblico. Non può ordinare di tacere l’accaduto, come nelle altre resurrezioni: la folla propaga la notizia. Ora tutti sanno di cosa è capace l’uomo che presume di essere il figlio di Dio. Si è svelato. Verrà ucciso infatti poco dopo. La resurrezione di Lazzaro è anche il prologo della morte di Gesù: la vita ridata al mortale da Dio chiama la morte data dagli uomini a Dio.

    Ma non brilla quella lacrima sulla guancia di Gesù. I suoi occhi, sottolineati da un contorno scuro, sono asciutti. Se non l’ha cancellata il tempo, l’ha omessa Giotto. Per quanto ne so, ha dipinto una sola lacrima nella Cappella degli Scrovegni: nella Strage degli Innocenti, sulla guancia di una madre. Forse pensava che una donna può piangere la morte di un figlio, ma un dio non può piangere quella di un amico. Melania Mazzucco



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    Correggio, Giove e Io - 1532-1533
    olio su tavola - 163,5x74 cm
    Vienna, Kunsthistorisches Museum


    Mi sono sempre chiesta se la distinzione fra pornografia ed erotismo non sia un comodo pretesto dei benpensanti - per separare ciò che disturba da ciò che attrae, e dunque ciò che viene rifiutato da ciò che viene invece consentito. Al tempo in cui questo quadro venne dipinto, però, le parole (e gli aggettivi correlati), segnavano generi e confini precisi. Pornografico era ciò che suscita fantasie sessuali e procura piacere, e perciò mostra; erotico ciò che lascia immaginare il piacere, e perciò allude. Pornografiche erano le stampe dei Modi di Marcantonio Raimondi da Giulio Romano, con le loro scene esplicite e organi genitali in bella vista.

    Erotici i quadri di Giorgione, Tiziano, Raffaello, con sensuali femmine nude immerse nella natura o a letto, che si limitavano a suggerire all’osservatore (per lo più re, principe o ricco banchiere) amplessi fantasiosi e appaganti. La mitologia classica offriva in proposito uno sconfinato repertorio. Queste opere erotiche desunte dalla letteratura si chiamavano ‘poesie’. Tutte le poesie erotiche dipinte per i potenti del mondo hanno mantenuto intatta la loro capacità di seduzione. Ma la più audace, e la più erotica di tutte, l’ha dipinta Antonio Allegri, detto il Correggio.

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    Vissuto nella pianura padana, prevalentemente in una cittadina che contava nemmeno 15.000 abitanti (Parma), e non vantava né un re né un papa e nemmeno una piccola corte, è sempre rimasto escluso dal canone del ‘500 che allinea Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Tiziano. Doveva molto a tutti e quattro, ma non gli fu inferiore. Il quadro in questione si intitola Giove e Io.

    E’ rimasta una congettura senza prove documentarie quella che il committente fosse Federico II Gonzaga, duca di Mantova. E’ l’ipotesi più verosimile, comunque, perché Federico, appassionato di donne, di cavalli e di armi, aveva commissionato al Correggio altre poesie di analogo soggetto, che intendeva regalare all’imperatore Carlo V, e inoltre si identificava con Giove (tanto da farsi dipingere a Palazzo Te in quel ruolo, ma non in quei panni, in quanto si volle mostrare nudo). Intorno al 1530, Correggio era reduce dall’impresa degli affreschi della cupola del Duomo di Parma: un capolavoro che in seguito gli sarebbe stato copiato da tutti i pittori barocchi italiani ed europei, ma che in quel momento - come se fosse in anticipo di un secolo sul gusto - aveva suscitato rumorosi dissensi. Gli amori di Giove vennero a risollevarlo da un comprensibile sconforto.

    La fonte letteraria erano le Metamorfosi di Ovidio, per secoli la Bibbia amorosa dell’Occidente. Ma l’episodio di Giove e Io dovette deludere Correggio: il dio concupisce la solita fanciulla ritrosa, che gli sfugge nascondendosi nei boschi. Poi nasconde la terra in una nebbia scura (o nuvola) e, approfittando del buio, la possiede. Correggio però ha un colpo di genio. Scardina il testo con un procedimento retorico proprio della letteratura più che dell’arte: la metonimia. L’effetto viene espresso dalla causa: la nuvola non è più il mezzo di cui si serve il dio per possedere la donna, ma il dio stesso. Nel suo quadro, Giove è una nuvola.

    Dipingere le nuvole (e la nebbia), è come dipingere l’aria, o la luce.
    Per un pittore, è la sfida tecnicamente più stimolante. Cosa sono, infatti, le nuvole? Né natura né corpo. Si possono forse toccare? Correggio accetta la sfida e la vince: dipinge una vera nuvola, evanescente, eppure di una consistenza quasi materica. Plumbea, minacciosa, gonfia di pioggia, incombe su un paesaggio autunnale, un bosco di querce su cui cala l’oscurità. Ma fa di più: la umanizza, le dà un volto, sfumato, fantasmatico, appena visibile, che emerge dalla nuvola stessa per baciare Io; le dà perfino un braccio. Non si potrebbe definire altrimenti la zampa grigio-azzurra fatta d’ombra e di nebbia che attira a sé la donna.

    Il secondo colpo di genio è la scelta dell’istante.
    Un quadro infatti può cogliere una frazione sola, del tempo di una storia. Correggio sceglie l’attimo del bacio - anzi, quello in cui, col bacio, il principio maschile penetra la donna e le procura l’orgasmo. Mi riesce difficile ricordare in tutta la storia dell’arte occidentale un amplesso più esplicito e più spregiudicato di questo.
    La donna infatti non è la solita vittima fuggiasca: partecipa attivamente.
    Io, magnificamente nuda, è seduta su un bianco lenzuolo di seta, a sua volta posato su una roccia soffice di muschio, sul limitare di uno specchio d’acqua (in basso a destra si riconoscono la testa di un cervo e una simbolica anfora). Girata di spalle, ci offre la schiena stupenda, le natiche, le gambe, le braccia. La sua carne perlacea è dipinta con tale perizia da sembrare vera. Ma i suoi muscoli sono in tensione. La schiena s’inarca, come sotto il peso di un altro corpo, il piede s’impunta, la mano sinistra preme la zampa-nuvola contro di sé; la gamba destra si divarica per accoglierlo, la testa si rovescia all’indietro, le labbra si schiudono, come emettendo un gemito.

    Correggio morì poco dopo, relativamente giovane. Era il 1534. Il fortunato proprietario teneva probabilmente Giove e Io in camera da letto. Se era davvero Federico II, non lo godé a lungo: malato di sifilide, morì nel 1540, dopo aver dovuto lasciare la sua amante Isabella Boschetti per sposare Margherita Paleologa e generare eredi legittimi allo stato. Il quadro emigrò all’estero. Anche lo spensierato erotismo di Correggio lasciò l’Italia. Col tempo, a forza di denunce e tribunali, ai pittori italiani fu sottratta la pornografia, e l’erotismo si rifugiò nel sacro (le torbide Maddalene). Agli italiani che non erano pittori furono lasciate le briciole: il sesso boccaccesco, licenzioso e scurrile. Il sesso poteva solo muovere al riso. Nessun artista ha più saputo (o potuto) cogliere con altrettanta spudorata libertà il momento più scandaloso di tutti: il piacere di una donna. Melania Mazzucco




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    L'Icona Salus Populi Romani




    L'immagine miracolosa, Protettrice del Popolo Romano, è forse la più amata e onorata icona mariana a Roma, al punto da essere quasi considerata come un palladio della città, Pio XII ne era particolar-mente devoto. Si trova nella Cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Anticamente, come risulta da un documento del 1240, questa icona era nota con il titolo di Regina Caeli.
    La tradizione fa risalire la venerata icona al tempo degli Apostoli. Sarebbe stata dipinta dall’evangelista Luca. Due sono le tradizioni legate alla storia dell'icona: una vuole che l'evangelista la abbia copiata da un’immagine acheropita (ossia non dipinta da mano d’uomo) che si trovava a Lidda, in Palestina.

    Quando Pietro e Giovanni ebbero convertito una grande folla a Lidda, vi eressero una chiesa consa-crata alla Madre di Dio. Chiesero poi a Maria di visitare quella chiesa, ma la Madre di Dio rispose: "Andate con gioia, perché io sarò con voi!". Quando gli Apostoli arrivarono alla chiesa di Lidda, trovarono su una delle sue colonne un'immagine della Madre di Dio, miracolosamente fatta "senza mano d'uomo".

    Più tardi, la Vergine in persona visitò questa chiesa: benedisse l'immagine e le conferì la grazia di compiere miracoli. Nel IV secolo l'immagine fu minacciata da Giuliano l'Apostata, che mandò dei tagliapietre con l'ordine di toglierla. Ma essa resistette agli scalpelli. Questo fatto miracoloso fece af-fluire in seguito folle da tutto l'Oriente.

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    L'altra tradizione vuole che dopo la crocifissione, quando la nostra Mamma Celeste si trasferì nella casa di San Giovanni, portò con sè tutti i suoi effetti personali, fra i quali c'era una tavola fatta dal Redentore stesso nella falegnameria di San Giuseppe, suo padre putativo. Questa tavola passò nella proprietà di alcune pie vergini di Gerusalemme che convinsero San Luca a dipingervi sopra un ritrat-to della Madre di Dio. Quando Luca dipingeva aveva ben in mente i fatti che la Santa Vergine stes-sa gli aveva raccontato della vita di suo figlio Gesù, cose che poi trascrisse nel suo vangelo. La tradi-zione vuole che questa icona sia rimasta a Gerusalemme, fin tanto che fu scoperta da Sant'Elena, madre di Costantino, nel VI sec.

    Questa icona assieme ad altri oggetti sacri fu presto trasportata a Costantinopoli ove il figlio Co-stantino il grande fece erigere in suo onore una chiesa.
    Quando nel 730 l'imperatore Leone Isaurico scatenò la distruzione delle icone, il Patriarca San Ger-mano, fervente difensore della sacre immagini, fu destituito dalla sua carica ed esiliato. Prima di im-barcarsi, scrisse una lettera al Papa San Gregorio Magno, la fissò sull'icona e l'affidò ai flutti del ma-re. L'icona navigò fino a Roma, dove arrivò in un solo giorno. Papa Gregorio Magno, avvertito da un sogno, la ricevette col clero, in preghiera, sulla riva del Tevere.

    Quando il Papa ebbe terminato la preghiera, l'icona si sollevò dall'acqua e venne a posarsi tra le sue mani. Fu portata in processione fino a San Pietro, e lì esposta alla venerazione dei fedeli. Dopo la fi-ne dell'iconoclastia, durante un'ufficiatura celebrata dal Papa Sergio II (844-847), l'icona cominciò a muoversi. Il popolo, spaventato dal fenomeno, cantò il Kyrie, e l'icona si immobilizzò. Poi si innalzò, e uscì dalla chiesa dirigendosi al Tevere, seguita dal Papa e dal popolo. Allo stesso modo in cui era arrivata un secolo prima, si allontanò sul mare, e l'indomani giunse a Costantinopoli, dove fu ricevuta dal Patriarca San Metodio. L'icona venne solennemente trasferita nella chiesa di Chalkopratia, dove fu venerata col nome di "La Romana" e festeggiata l'8 settembre.

    Una copia (?) di questa icona si trova nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a Roma chiamata anche "Santa Maria della Neve", perché una prodigiosa nevicata il 5 agosto avrebbe delimitato il perimetro per l'edificazione della precedente basilica liberiana.
    Nel secolo XVI avvenne il miracolo più grande attribuito a questa immagine: Roma era invasa dalla peste e il Papa, San Pio V, portò in processione l’icona fino a San Pietro. Prima di arrivare alla Basi-lica, ci fu un grande prodigio: tutto il popolo riunito udì un meraviglioso canto di angeli intonare i versi

    Regina coeli, laetare, alleluia;
    Quia quem meruisti portare, alleluia;
    Resurrexit sicut dixit, alleluia.


    al che il Santo Padre aggiunse senza esitazione:

    Ora pro nobis Deum, alleluia.


    Non appena il papa terminò di pronunciare queste parole tutto il popolo vide distintamente l’Arcangelo Michele sopra la Mole Adriana, nell’atto di riporre nel fodero la propria spada. Il Papa comprese che la peste sarebbe presto finita, come di fatto accadde da lì a poco tempo, e la Mole si chiamò da allora Castel Sant’Angelo. L’icona è stata copiata da innumerevoli artisti del Rinascimen-to e per questo è anche la più antica immagine della Vergine; attraverso le numerose copie, è anche conosciuta in Cina, dove fu portata dai Gesuiti. La ”Salus Populi Romani” è inoltre conosciuta in Russia, dove è stata dipinta da Teofane il Greco nella Chiesa della Trasfigurazione a Novgorod, alla fine del secolo XVI. Pure in Etiopia esistevano migliaia di copie esatte dell’icona di Roma, che di-venne l’icona canonica di questo Paese.

    Moltissimi papi del presente come del passato hanno avuto una grande devozione per questa imma-gine. Paolo VI pregò a lungo di fronte a questa immagine dopo aver proclamato la Santa Vergine come Madre di tutta la Chiesa.
    L’icona venerata a Santa Maria Maggiore era presente a Tor Vergata nell’agosto 2000 in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù e in quell’occasione Giovanni Paolo II ha voluto affidarla ai giovani insieme alla Croce della Gmg, ”perchè rimanga anche visibilmente sempre evidente che Ma-ria e’ una potentissima Madre che ci conduce a Cristo”.

    "...Con Maria si orienta il cuore al mistero di Gesù e questo ci aiuta a purificare la nostra vita da tan-te forze negative. Il rosario, infatti, pregato in modo autentico, da’ pace e consolazione. Nella mia mente - ha aggiunto il Pontefice - e’ rivissuta questa sera la bella tradizione che ho vissuto nella mia infanzia, evocando i dolci ricordi degli appuntamenti vespertini delle sere di Maggio in parrocchia, o nei cortili delle case. Ringraziamo Dio che ci ha concesso di vivere quest’ora così bella, davanti all’icona Maria Salus Populi Romani che è tanto venerata a Roma. Uniti nella preghiera con Maria - ha detto il Papa - invochiamola per ”le intenzioni più urgenti del mio ministero: le necessità della Chiesa, i grandi problemi del mondo, la pace, il dialogo fra le culture, l’unità dei cristiani e - ha scandito -, pensando a Roma e all’Italia, lo sviluppo solidale di questo amato Paese”.
    Benedetto XVI, sabato 5 Maggio 2008, saluto ai fedeli intervenuti presso la basilica di Santa Maria Maggiore. Fonte


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    La moda paglia

    Sarà un'estate all'insegna della paglia





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    Fonte:laprovinciadicomo.it/





    Edited by SueMebitch - 9/3/2013, 22:14
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    MODA PRIMAVERA ESTATE 2013:
    le tendenze






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    Abiti alla greca

    Se cercate un abito elegante, sappiate che la tendenza
    primavera estate 2013 è quella dell'abito alla greca...
    tinte chiare, che scende a colonna e con pieghe dritte.. elegantissimo!


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    Bianco


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    Il bianco è il colore della primavera-estate 2013.. via libera
    a pantaloni, abiti, gonne e giacche!


    Fantasia floreale


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    La fantasia floreale fa da padrona in questa primavera estate 2013...



    La gonna a ruota


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    Una delle tendenze principali della nuova stagione
    è un recupero degli anni '80.. la gonna a ruota!
    Sbarazzina e trendy, osatela solo se avete gambe lunghe e snelle!


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    Occhiali da sole rotondi


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    Archiviati gli occhiali con montatura fluo che hanno spopolato
    la scorsa estate, per la nuova stagione
    i più modaioli li sfoggiano tondissimi, alla John Lennon!


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    Pizzo




    Il pizzo è romantico e glam e si è configurato come una
    delle più amate tendenze della prossima stagione!






    Righe


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    Non è possibile entrare in un negozio e non essere aggredite
    da capi a righe di ogni genere, il must have della nuova stagione!



    Scarpe a punta


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    Un must che sembrava morto e sepolto ma che è tornato
    in auge.. le platform con punta lunghissima!


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    Stampa a scacchi

    Un altro must-have della primavera estate 2013? La stampa a scacchi!


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    Stampa pitonata




    La stampa animalier è incredibilmente in voga per questa stagione,
    soprattutto quella pitonata. La chicca in più? Sceglietela psichedelica!





    Edited by SueMebitch - 9/3/2013, 22:14
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    SOPHIA: LA NUOVA IT BAG DI LIU JO




    Sophia in Emerald Green



    Verde smeraldo, sabbia, blu elettrico... sono solo alcuni dei colori di Sophia la nuova it bag di Liu Jo. Soffice econappa, linee morbide, dettagli dorati (le chiusure, i decori e il dettaglio charme "cornet-to" porte-bonheure dalle mille catenine scintillanti), chiusura a clip e morbidi manici, Sophia è già entrata nel cuore delle fashion addicted come borsa perfetta per il giorno.
    Per la prossima stagione estiva Sophia si vestirà di una palette caramellosa fatta da tonalità pastello, delicate e simil bon bon. E voi quale colore scegliereste? Il classico nero, sempre perfetto con tutto? Il rosa confetto, l'ideale per addolcire anche il più aggressive dei look? Il sofisticato Emerlad Green? Oppure il versatile blu notte? Scegliete il mood della vostra Sophia! Fonte: grazia.it/


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    Sophia in Rosa confetto


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    Sophia in Blu Notte


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    Sophia in Red/Fucsia


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    Sophia declinata nelle nuance del Sabbia


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    Classico nero per Sophia




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    CENTROTAVOLA CON LE ROSE ROSSE



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    Elegantissimo il centrotavola con le rose rosse; un grosso nastro per infiocchettarlo come si deve ed ecco un ricchissimo bouquet tutto da ammirare. Un centrotavola regalato alla tovaglia delle grandi occasioni, ma perfetto anche per un cuscino o un vassoio che stupirà sicuramente i vostri ospiti.
    Il centrotavola è ricamato su tela Emiane11 bianca (11 fili ogni cm.), usando 2 fili di cotone Moulinè DMC su 2x2 fili di trama. L’ingombro è di cm. cm. 34x34.(Milea)






    Edited by Milea - 13/6/2014, 18:20
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    ETICHETTE IN CUCINA








    Tutto in ordine in cucina; schiaccianoci, apribottiglie, formine per i biscotti, arricciaburro… meglio averli sempre a portata di mano quando si è in cucina, perché davanti ai fornelli tendono a non farsi trovare! Le etichette ricamate su tela Aida ricamate rigorosamente in acciaio, saranno perfette da inserire su una piccola cassettiera che conterrà gli utensili di cucina. I motivi sono realizzati su tela Aida 55 écru (55 fori ogni 10cm.), usando 2 fili di cotone Moulinè DMC. L’ingombro delle etichette è cm. 10x4. (Milea)




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    Piet Mondrian, L'albero grigio, 1911
    olio su tela, 78,5x107,5 cm
    L’Aja, Gemeentemuseum



    Immagino cosa state pensando. Il nome di Mondrian lo associate istintivamente, infallibilmente, a una tela bianca, scandita da linee rette, nere, che incorniciano quadrati di colori primari - giallo, rosso, blu. Quei quadri, che sembrano tutti uguali, anche se non lo sono, contrassegnati tutti dallo stesso titolo anonimo - Composizione… - sono diventati il marchio del pittore. La sua immagine iconica. Se ne trova uno in quasi tutti i musei d’arte moderna, circolano numerosi anche in versione cartolina. Guardandoli, ci siamo chiesti se quella fosse pittura, e abbiamo pensato di essere capaci di farne uno anche noi. E poi, avvicinandoci, abbiamo cambiato idea - ammirando la perfetta proporzione delle linee e dei colori, e anche la qualità della pittura stessa (sembrano stampati, o fatti con cartoni ritagliati con le forbici e poi incollati sulla tela, ma sono davvero dipinti, pennellata su pennellata).

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    Anch’io associavo il nome Mondrian a quelle composizioni. E sono rimasta stupefatta la prima volta che ho visto L’albero grigio. Credevo di aver letto male. Non sembrava di mano dello stesso artista. Forse, in realtà, non lo è. Ho la fissazione di leggere sempre la data di composizione di un’opera, e questa mi ha fatto molto pensare. Nel 1911, quando lo dipinse, Mondrian non era uno studente di belle arti o un esordiente alle prime armi. Aveva anzi già dipinto un centinaio di opere. Paesaggi, per lo più. Era già stato influenzato dall’impressionismo, dal divisionismo, dal fauvismo, e anche dal suo connazionale più celebre della generazione precedente, van Gogh.

    Come quest’ultimo, era andato a vivere in provincia, tra i contadini, e raffigurava ciò che aveva intorno: canali, spiagge con le dune, campi, marine, mulini, fattorie. E alberi. Era attratto dagli alberi, e da uno dell’Aja, in particolare - più che come elemento naturalistico, come problema tecnico. Prima lo aveva interessato dal punto di vista del colore (lo aveva rappresentato azzurro e rosso), poi da quello della forma - come in questo caso.

    Nel 1911 Mondrian aveva trentanove anni.
    A quell’età, molti grandi pittori del passato e del presente avevano già concluso la loro parabola. Per dire, van Gogh era già morto. Se Mondrian fosse morto dopo aver dipinto L’albero grigio, ci ricorderemmo di lui? Io probabilmente sì, dal momento che sono un po’ ossessionata dagli alberi - forse perché per molti artisti, pittori e scrittori, l’albero è l’immagine di sé. La pensano così anche gli psichiatri, che per capire come uno vede se stesso e in che modo si relaziona col mondo nei test fanno disegnare un albero. Ma non voglio addentrarmi nel campo minato della psicologia. Forse la storia dell’arte lo considererebbe un artista interessante, ma periferico, attardato, quasi marginale.

    Invece nel dicembre del 1911 Mondrian si lasciò convincere a partire per Parigi, vi scoprì l’arte cubista di Picasso, rimase scioccato, mise in discussione tutto ciò che aveva fatto e iniziò una lenta e spietata semplificazione, un annientamento dell’oggetto, che nel giro di un decennio l’avrebbe portato alle composizioni geometriche di cui s’è detto. Fin quasi alla morte, avvenuta nel 1944, con coerenza maniacale, non dipinse altro. Come se l’arte fosse una contemplazione continua della stessa cosa. Rinnegò le opere della prima fase, e a un certo punto propose perfino a un amico di appropriarsene - cioè di dire che le aveva create lui. La natura gli divenne odiosa. Al paesaggio familiare dei suoi primi quarant’anni, ai canali, ai fari, ai campanili, alla campagna olandese e all’albero dell’Aja, preferì il cemento delle metropoli e la solitudine di città straniere - Parigi, Londra, New York. Insomma, divenne un altro.

    mondrian-albero-grigio

    Questo quadro sta dunque come una duna fra due mondi, due anime, due epoche.
    E’ insieme una soglia e un congedo. Non posso guardarlo senza provare una lancinante malinconia. C’è qualcosa che sta morendo, in questa immagine. E non è l’albero in sé. Che pure ha qualcosa di terminale. Qui il particolare lascia il posto all’universale, il contingente all’assoluto. Il colore è quasi scomparso: resta solo una base grigia, madreperlacea, solcata da righe nere. Anche la forma è ridotta alla sua struttura: i rami e il tronco già hanno perso foglie e corteccia, sono ormai pura linea grafica.

    Ma quello che sta sparendo è molto di più: un’idea di pittura.
    Un modo di rappresentare il mondo che è durato per millenni, e che per il pittore già non significa quasi più niente. Nell’universo astratto che andrà a creare non ci saranno più curve né oggetti, né dettagli, né esseri viventi né sfumature. Nessuna immagine. Neanche la minima traccia del soggetto.

    Solo un’algida perfezione geometrica.
    Un’essenzialità puritana, in un certo senso iconoclasta. Una bellezza intellettuale che nasce dall’equilibrio matematico: la luce arcana che emana sembrerà perfino riposante. Però non ci può appagare completamente. Perché il mondo non è giallo, rosso e blu, e ogni cosa comprende la sua ombra - è storta, contaminata, guasta, e ciò che rende appassionante la vita, ogni vita, sono le infinite variazioni del caos delle apparenze.

    Allora guardo quest’albero nudo, già privo di tutto, ma che è ancora un albero, e penso che anche se non era mai stato a Parigi, e ignorava Picasso, e non conosceva gli ultimi movimenti dell’avanguardia, Mondrian era già un pittore straordinario. E mi aveva già detto tutto della sua aspirazione all’essenzialità, al superamento del disordine delle cose, alla purezza. Il resto sarebbe stata gloria - ma anche resa, rinuncia alla bellezza precaria e irripetibile di ogni vita. Melania Mazzucco






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    RAME IN CUCINA


    In-cucina





    Le nonne amavano cucinare nel rame e nelle cucine più “in” le lucentezze di questo materiale prezioso per l’eleganza che sa regalare, non possono proprio mancare. E allora eccoli: teiera, mestoli, bilance e macinini riluccicano nel quadro, pronti per arredare la cucina. Ricamando su tela Aida 55 (con 55 quadretti ogni 10 cm.), con 2 fili di cotone Moulinè DMC. L’ingombro del quadro è cm. 44x25. (Milea)




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    PINOCCHIO:
    LA FIABA RICAMATA A PUNTO CROCE






    tenda-Pinocchio





    Creare la magia del burattino Pinocchio con ago e filo si può: sarà una deliziosa idea per la cameretta dei bambini. Con mani incantate possiamo aiutare il “birichino” a non dire bugie e “sommergerlo” di libri per farlo studiare e “dar voce” alla sua coscienza con il Grillo parlante. Il ricamo di Pinocchio sulle tendine è realizzato su tela Emiane (11fili in ogni cm.) con cotone Moulinè DMC preso a 2 fili su 2x2 di trama. L’ingombro del ricamo è cm. 25x12. Il ricamo della trapunta è realizzato invece su tela Davosa (8 fili in 1 cm.) con cotone Moulinè DMC preso a 3 fili su 2x2 di trama(Milea)


    tovaglietta-Pinocchio





    Edited by Lottovolante - 6/3/2013, 20:45
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    BORDO CON BOCCIOLI DI ROSA







    Una delicatissima ghirlanda di rose inanellate e delicatamente perfette, ideale per incorniciare asciugamani, pochette, tendine e tantissimi altri bordi. I boccioli sono ricamati su salviette con bordo a trama Aida con cotone Moulinè DMC preso a 2 fili su 2x2 di trama.(Milea)







    Edited by Milea - 5/3/2013, 13:57
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